Non saper cosa altro dire se non…

grazie

Per l’entusiasmo di avervi visti passare qui mille volte, non so aspettare…prendo il foglio e prima di fotografarlo ci scrivo l’unica parola che riesco a trovare. Non saper cos’altro dire è il colmo per una che tenta il mestiere delle parole, ma così è. Grazie. Perché mille volte vi siete affacciati e m’avete letta, o solo vista, facendovi comunque un’idea di questo blog, che per me non è proprio un blog, piuttosto un posto, come ne esistono milioni a questo mondo…un angolo di mondo in cui io sto a guardare il mondo…e solo a guardare io non so restarci, così scrivo e mi incammino e vado e vi incontro e incontrarvi è davvero la cosa più bella del mondo. E scrivendo, scopro ogni giorno di più che le parole possono diventare un impegno per la vita….con loro ho stretto un patto di fedeltà…tenterò di rimanere loro fedele, anche qui. Grazie mille!!!!

Conoscete Margherita?

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Stefano Benni o lo detesti o lo ami. Non ci sono scorciatoie, non ti puoi abituare a questo suo modo di scrivere, in cui tutto segue un suo ordine, non accade quel che ci aspettiamo nelle sue storie perché quel che ci aspettiamo rientra sempre nel nostro immaginario e qui invece niente assomiglia al nostro immaginario. Margherita dice di essere “una bambina in scadenza” e quindi dargli un’età è apparentemente facile, ma io non so dargliela. Ma la figura riportata in copertina è perfetta…se dovevo immaginarmela io l’avrei pensata esattamente a quella maniera. E somiglia tremendamente a tanti bambini e a tanti di noi, ma allo stesso tempo è anche tremendamente diversa e per questo per conoscerla si può solo scoprirla tra le pagine della sua storia. Buona lettura!

Sulla strada

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«Ma prima o poi ci sarà una nuova generazione di giovani che svegliandosi dal torpore, nel quale il potere li ha intrappolati, rovisteranno nelle soffitte impolverate dei loro genitori e troveranno uno zaino e un sacco a pelo e a questo punto andranno “lungo la strada” a riprendere il cammino interrotto». Jack Kerouac

Stamattina mi sono svegliata con il desiderio di riprendere un cammino interrotto. E voi? Avete anche voi un cammino da riprendere?

Spirit, un nome che vuol dire libertà.

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La festa di ieri per l’inaugurazione del centro diurno a Torraccia di Gubbio, io non me l’aspettavo. Non mi aspettavo di trovare in fondo alla strada un’oasi di pace, immersa nella natura…si, lo so, descritto così sembra quasi l’inizio di una favola. In un certo senso lo è. Non sono qui per raccontarvi quel che è successo, di cronaca me ne occupo in altre sedi…io sono qui per dirvi che ieri, l’aria di festa al maneggio dell’associozione Spirit Onlus, mi ha fatto bene, ha rasserenato una giornata che non era partita bene…perché ho visto un sogno realizzato, ho visto un impegno condiviso e che segna una strada che intreccia in mille incroci altre strade, quelle delle famiglie dei ragazzi che il centro diurno ospiterà (ragazzi con lo “spettro autistico”), le strade dei volontari, della gente comune, dei professionisti che ci lavorano. Ieri anche la mia strada si è incrociata con la loro e quel che mi sono riportata a casa non so dirvelo di preciso…forse un misto di ammirazione, stima, gratitudine…perché realtà come quella della Spirit, che nascono nel sociale per migliorarlo, integrarlo, viverlo, rendono migliore la vita di tanta gente, di tutta quella gente che non è affetta da una sindrome o in contatto con una sindrome, ma di tutta quella gente che è come è, ognuna con i suoi problemi, le sue logiche, le sue difficoltà, i suoi slanci. Dopo la giornata di ieri, sono tornata a casa con una certa idea di libertà, nel senso che la libertà di vivere è un diritto innegabile e ogni vita è preziosa…la libertà di essere come siamo, di essere quelli che siamo, con lo “spettro autistico” o senza, con una disabilitò o senza, con le nostre capacità, le nostre manie, i nostri bisogni…una risposta ad un bisogno, ecco cosa mi è sembrato di vedere, una risposta al bisogno di libertà che abita il cuore di ognuno. Grazie alla “Spirit”, al suo bel nome, al suo grande impegno quotidiano per la libertà di tutti, in un paradiso di verde in cui è facile incontrare un momento intenso di felicità. Grazie alla “Spirit”, che mi ha fatto vedere come la diversità è integrazione, capacità di essere insieme, liberi, ognuno a suo modo, ognuno per come è.

Gubbio DOC Fest…ci siamo quasi!!!!

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Qui non si parla di aria fritta…qui non si sogna tanto per sognare…qui si fanno le cose sul serio!!!! Qui ci viene dato appuntamento nel cuore dell’estate, e nel cuore verde d’Italia, nella più bella città medievale, a Gubbio. Tre giorni in cui vivere la magia dell’arte nel senso più ampio del termine e ce ne è davvero per tutti i gusti. I Negrita apriranno venerdì sera, 7 agosto, con la tappa unica nel centro Italia del loro tour…seguiranno due giornate di incontri letterari, alla Casa dei Libri (e di questo vi parlerò con più attenzione in separata sede)…l’8 sera, Michele Placido e il premio oscar Luis Bacalov andranno in scena con lo spettacolo “Con el respiro del tango”. E domenica 9? Cosa pensavate che vi si sarebbe lasciati a bocca asciutta? Vi sbagliavate…con Giorgione e il suo Show Cooking potrete soddisfare il vostro palato! Appuntamenti che mancarli sarebbe come perdersi il passaggio di un treno che vi avrebbe assicurato un gran bel viaggio! Allora non mancate, segnatevi tutto, io comunque proverò a ricordarvene nei giorni che verranno! Adios!

I pesci non chiudono gli occhi

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Se dovessi convincervi a comprare o prendere in prestito un libro, oggi vi indicherei un autore che ho molto a cuore e che sabato potrò ascoltare, incontrandolo di persona, Erri De Luca. Ecco un estratto de “I pesci non chiudono gli occhi”:

«Mi fermai a guardarla. Il vestito bianco, una margheritina all’orecchio, odore diverso da quello delle mandorle, la fissavo, lo sguardo inceppato su di lei. Fu la prima notizia certa della bellezza femminile. Non sta sopra le copertine dei giornali, delle passerelle, sullo schermo, sta invece all’improvviso accanto. Fa sussultare e svuota»

Lo so, niente più del nostro istinto ci guida nella scelta di un libro e per questo dovrete sempre dar retta più a un vostro gusto che a quello di un vostro amico o un collega di lavoro o di vostra madre o di una blogger qualunque…seguo il mio istinto nelle letture, da sempre, ma molti libri sono state belle scoperte fatte grazie a qualcuno che me ne aveva parlato…io questo libro comunque non so raccontarvelo per cui un estratto è tutto quel che sono riuscita a scrivere…

Un debito che non potrò saldare.

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Non starò ad annoiarvi con i miei pensieri sulla vita o sulla morte di Sebastiano Vassalli, anche perché non so molto di lui nel senso della sua storia e dei suoi libri. Non vi ingannerò, io ho letto solo questo, trovandolo grandioso ma senza dargli alcun seguito. Ed oggi forse mi monta in cuore una certa dose di rabbia sapere che non ho letto altro di lui fino a che è stato in vita. Si, perché dopo oggi, come succede sempre dopo una morte, sarà facile leggerlo…ma quando nessuno lo citava, nessuno lo intervistava, quando a nessuno interessavano le sue storie, io dove ero? Ma se posso dire una piccola cosa di questo libro, “La chimera”, è che solo aprendolo, alla prima pagina della premessa, io c’ho trovato tutto quello che è alla base delle mie motivazioni rispetto al mestiere che voglio imparare…scrive Vassalli nel libro:  un’immagine inafferrabile e lontana come quell’amore che lui allora stava inseguendo e che non avrebbe mai raggiunto, perché non esisteva… Una chimera!”

Non lo so se c’è bisogno di spiegare altro…io credo di no, credo che solo questa frase valesse tutto il resto. Sono in debito con questo scrittore, un debito che non potrò saldare, perché mai potrò scrivere qualcosa che si avvicini minimamente alla bellezza di questa frase. Corro a leggere “Cuore di pietra”. Comincio il mio tentativo di sdebitarmi.

Un vicolo, le ombre, la fantasia, la luce…

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Sarà perché io amo la mia città, per questo voglio raccontarvi qualcosa che la riguarda. Ieri è stato inaugurato un vicolo sotterraneo a Gubbio che collega una via, “Via della Repubblica”, con una piazza, “Piazza San Giovanni”, e lo fa di nascosto, passando sotto terra. Vedete quella cancellata nella foto? Si deve entrare lì, fare una bella rampa di scale per trovarsi in un mondo che non è emerso, ma che non ha nulla da invidiare per bellezza alle vie illuminate dalla luce del sole. Tutte le informazioni del caso le potrete trovare quando verrete a visitare la mia città…non sto qui a raccontarvi i particolari. Volevo scrivere due righe su un pensiero che m’è venuto durante il momento dell’inaugurazione, quando ha parlato l’architetto che ha seguito i lavori, Paolo Capacciola, un mio amico, e sono di parte, vi avviso, perché io lo conosco e gli voglio pure bene, come conosco uno dei due ingegneri che lo hanno accompagnato nel lavoro, Matteo Vinti. Li cito, spero non me ne vorranno…parto da loro, dal loro lavoro, dalla loro passione per dire quel che è arrivato a me. Un vicolo, le sue ombre, le sue pietre nascoste. Sono partiti da lì, ma non solo, sono partiti da quel posto che tanti anni fa era nascosto da un muro che poi è stato buttato giù. Era un anfratto dove, come lo stesso Paolo ha raccontato, alcuni amici suoi insieme a lui, andavano, senza svelarci però cosa facessero quando si incontravano laggiù! Un posto che ha protetto la loro fantasia, probabilmente l’ha nutrita, fino a renderla un motore che ha messo in moto il loro lavoro. Hanno riconsegnato a tutti, non solo alla città, un luogo carico di storia. Lo hanno ridato a quei ragazzi che lo frequentavano, all’associazione che se ne occuperà da adesso in avanti…a tutti quelli che avranno voglia di inoltrarsi nelle ombre, nel nascosto, nelle viscere di Gubbio, nel silenzio della città di pietra e magari avvertire il piglio fantasioso che nutre i sogni dei giovani che si affacciano adesso al mondo del lavoro, che nutrono il loro futuro vivendo nel presente le loro passioni, i sogni di tutti quelli che cercano negli angoli bui dell’anima, la luce che servirà per realizzarli e goderli. Grazie a Paolo, a Matteo, a tutti coloro che hanno permesso che un luogo nascosto rimanga per sua natura nascosto ma non più dimenticato, grazie per il loro prezioso lavoro nutrito di “ricordo, fantasia e passione” perché non un vicolo hanno riconsegnato a me, ma anche il desiderio di immergermi sotto, di andare alla scoperta di una storia vecchia, assorbita dalle pietre, per tirarla fuori e riconsegnarla a tutti, storia di ieri, storia di oggi.

“Senti le rane” di Paolo Colagrande

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Uno deve sempre partire dal titolo e io, davanti a questo titolo, ho aperto mente e cuore. I miei pensieri e le mie emozioni sono tornate indietro, a quando poco più che bambina, a caccia di rane ci andavo davvero e le sentivo cantare…nel libro le rane sono protagoniste in poche pagine, anche se una volta letta tutta la storia, è facile riconoscerci bene quel canto di rane…una scrittura ironica, come lo è Paolo, che affronta la provincia non come provincialismo, ma come un certo modo divenire a sapere le cose. I protagonisti ci portano a scoprire le avventure di un ebreo convertito al cattolicesimo, che diventa prete, che tutti credono santo…ma la santità non è abbastanza forte da resistere all’umanità e forse questa è la regola più vera che possiamo ritrovare nella vita di tutti…un libro che ho amato al primo sguardo, un colpo di fulmine che si è rivelato un vero amore. Sarà stata quella rana a far scoccare la scintilla, immagine che m’ha riportato indietro, ad un mondo che mi porto dentro, ovunque io vada, ovunque io sia.

“Cade la terra” di Carmen Pellegrino

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Quel verbo messo nel titolo come un dato di fatto, “cade”, niente di più e niente di meno che una costatazione, alla fine del libro io l’ho trovato smentito. Alento è un paese che frana, inesorabilmente la terra slitta, le case crollano se non sono già crollate e l’ultima abitante, Estella, vive l’abbandono, crepa dopo crepa. Ma non è questo che m’è rimasto addosso, non l’abbandono, non la morte, non l’inesorabile cadere del tutto. Mi porto via da queste pagine un canto d’amore, un desiderio di vita, la radice che rimane a dire che il passato è stato e per questo non può non essere più. La memoria, il tentativo di vedere nelle crepe la luce, questo è il regalo più prezioso che Carmen Pellegrino mi ha fatto. “Abbandonologa”, una storica e abbandonologa, in questa definizione c’è tutta la malinconia inevitabile se ricopri un ruolo come questo. Ma Carmen sceglie in quel ruolo di raccontare una caduta ma per vederci un rimettersi in piedi, sceglie di narrare le piccole morti per cantare un più grande senso di vita, di narrare l’abbandono per portarci a scoprire che apparteniamo, a luoghi, persone, alla terra, noi apparteniamo.