“Da grande vorrei costruire ponti”

Old bridge dusk scene

Rispondevo così a tutti quelli che mi chiedevano “Cosa vuoi fare da grande?”, vorrei costruire ponti. Non so da cosa venisse quel desiderio, non sono diventata ingegnere, e di ponti non ne ho mai costruiti. Ma amo queste strutture, tra tutti i ponti che ho visto, spesso solo in fotografia, perdo la testa per il ponte a schiena d’asino in Mostar. Bello. Ne cominciarono la costruzione nel 1566-67, lo finirono in nove anni. Fu distrutto il 9 novembre 1993 durante l’assedio della città, nell’ultimo conflitto dei Balcani.  In tanti hanno camminato su quelle pietre, ci si sono incontrati, affacciati, qualcuno ci tenta la sorte in tuffi pericolosi ed esaltanti. E’ stato ricostruito e riaperto nel 2004, le vecchie pietre distrutte dal bombardamento sono state sostituite da pietre nuove. Oggi è bianco, giovane.
Il ponte di Mostar ha la sua storia di dolore e speranza, la stessa storia degli uomini che desiderano unirsi, legarsi, incontrarsi e per questo costruiscono, ma a volte preferiscono la guerra, la divisione e si ritrovano a distruggere.
Se arriverete un giorno a Mostar, fermatevi davanti a quelle pietre nuove, percorretele più e più volte. Potrebbe succedervi di sentire che la vostra vita ha molto a che fare con la storia di quel ponte lì.

Cent’anni di solitudine

centanni di solitudine

Ho già scritto un sacco di pensieri su questo libro che ho letto e riletto fino ad imparare qualche passaggio quasi a memoria, ad esempio conosco a memoria l’incipit. Direte che è facile imparare a memoria le prime righe di un libro, io credo che non sia così, perché di incipit ne ricordo soltanto due, questo e quello di “Lolita”.

“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe
ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.”

Ho trovato fin da subito straordinaria la prima frase di “Cent’anni di solitudine” per via di quella situazione che, come un lampo, rischiara tutto quel che c’è intorno, tutta la storia è illuminata da questa prima immagine…Aureliano davanti al plotone di esecuzione ricorda un episodio che per lui ha significato una scoperta. Tutto il libro è questo: una scoperta continua della vita. A Macondo si svolge tutta la storia di un uomo e della sua famiglia, e Macondo è ogni altro posto del mondo. Ho letto tante volte questo libro da confondere la mia città con Macondo e confondere me stessa con Aureliano, o con Ursula. Il potere di questa storia è quello di evocare ricordi che appartengono ad una vita che non ho mai vissuto ma che ho potuto leggere e per questo è diventata pure mia.

Ogni volta che riprendo in mano questa storia, le sue pagine consumate e divenute quasi illeggibili, io mi ritrovo a casa, straniera e ospite in un posto che non posso non chiamare casa, ed entro in quella famiglia del sud del mondo, che è anche la mia famiglia, e tutto si confonde e mentre si confonde si fa pure più chiaro e i sentimenti si accendono, e la magia di crea, e io non sono più io o semplicemente io divento quel che sono davvero e per questo fatico a riconoscermi, ad accettarmi, ma questa sono, in verità. Tutto solo per un libro. Non ci credete? Leggete e provate, saprete ridirmi se non è così per davvero!