Filo rosso

Stamattina ho riletto quello che è stato ed è un libro molto importante per me. Mi ha avvicinato al mistero della montagna. Scritto da Reinhold Messner, La montagna nuda è la storia della scalata al Nanga Parbat.

Mentre leggevo, questa storia si è ricollegata con quella di Don Chisciotte, leggendario personaggio, visionario e folle.

C’è un filo rosso che le collega. La visione di una parte di vita che cerchiamo in ogni gesto. La follia di credere che quello che amiamo possa essere raggiunto.

Ho smesso di leggere e ho provato a ridisegnare Don Chisciotte per come lo propose Pablo Picasso e mentre andavo di matita e coraggio, ho sentito di voler appartenere a queste storie. Mi appassiono a cose che non mi riescono, nelle quali fatico, come il disegno, la scrittura, la musica. Pensavo ai risultati scarsi di ogni mezza opera. Forse non è tanto il risultato, quanto il percorso, la spinta, il tentativo di conquistarsi l’orizzonte che un’opera apre, sia un disegno, una scalata, l’impresa impossibile o la più elementare.

Il filo rosso che lega un libro a un altro, una storia a un’altra storia, è quello che tracciamo noi che leggiamo. E quel filo rosso lega un’altra immagine oggi, oltre a due libri.

C’è un insetto, si chiama “effimera”. Vive poche ore, solo il tempo di accoppiarsi e riprodursi. Il suo volo breve è una danza d’amore.Inutile appare quell’insetto. La sua stessa esistenza però afferma che è parte dell’ecosistema, quindi inutile proprio no.

Tutti e tre, Messner, Don Chisciotte e l’Effimera, potrebbero pure sembrare aver compiuto azioni inutili agli occhi di qualcuno. Lo scalare montagne, soprattutto quando non c’è un sempre felice ritorno a casa, diventa in un attimo follia, inutilità, andarsi a cercar rogne, sfidare il destino. E scambiar mulini a vento per giganti è forse non voler vedere il vero, il reale. Mettersi a combatterli risulta un gioco pazzo e senza senso. Che ce ne facciamo di un cavaliere così! Per non dire dell’Effimera, già il nome la descrive. A lei rivolgiamo l’attenzione che merita l’essere che potrebbe pure non esserci.

Filo rosso del destino: un’antica leggenda cinese dice che lo portiamo legato al mignolo e ci farà incontrare chi sposeremo. Ora non c’è Messner, Chisciotte, l’Effimera, all’altro capo del filo che porto legato al mio mignolo. Sono folle, ma non fino a questo punto! È che comprendo come l’inutile mi commuove e muove, mi interroga sul senso del vivere più di ciò che mi occorre materialmente a vivere. L’inutile, effimero, superfluo gioco della bellezza, che mi chiede un passo alla volta di affrontare la montagna, il mulino a vento, la danza d’amore.

Io credo che ogni cosa fatta per sé, se è sincera, fa spazio ad altro e ad altri. Il filo rosso del destino è legarsi agli altri.

Filo rosso di un destino che scopro, un giorno alla volta, snodarsi nel leggero correre del tempo in cui perdo, vinco, rinuncio, muoio, rinasco, provo, riprovo, abbandono e tradisco. Per scoprire me. Niente altro che scoprire me. E legarmi agli altri, lasciare che un destino si compia, con fiducia, che il mio filo si leghi ad altri fili. Seguirlo, con gioia.

Scritture in quarantena

Vorrei scrivere lettere.

A chi ho nel cuore e vive ora più o meno come me.

Vorrei metterci un’onda di mare

Un raggio di sole

Il granello di polvere che trovo ovunque,

sotto il letto,

sul pavimento della cucina,

la briciola del pane caduta dalla tovaglia.

Vorrei scrivere lettere.

Metterci dentro la corda sol della chitarra

che è per me la più bella.

Vorrei scrivere lettere.

Privarle di importanza

saperle raccontatrici di superfluo.

Vorrei scrivere lettere

con dentro l’odore dell’abete rosso dei boschi dolomitici,

l’ho respirato a lungo,

nessun virus potrà farmelo dimenticare.

Vorrei scrivere lettere dal futuro,

col mio amore per te,

ad aspettarti intatto quando il viaggio che hai cominciato tanto tempo fa,

senza di me,

a me ti riporterà.

Usciremo da questi giorni

e niente sarà come prima o forse tutto.

Neanche queste lettere che vorrei scrivere.

E il tempo,

la stella che brilla,

la luna che cresce e cala,

oltre la collina,

indicheranno nuovamente la festa,

l’allegrezza,

la devozione di processioni e messe.

E scrivo allora che tutto manca,

ma che tutto,

inspiegabilmente,

come un miracolo,

è qui.