“Non aspettare la notte” Valentina D’Urbano

7164473_1864974

Finalmente! Inizio così, con questa parola che ha il sapore di un’attesa che si compie perché ho atteso una nuova storia di Valentina D’Urbano con il fervore tipico di chi sa che non sarà deluso. E’ andata proprio così. Non si può rimanere delusi da questa storia, perché “Non aspettare la notte” è il racconto di vicende vicine, tremendamente vicine. Non tanto perché i protagonisti, Angelica e Tommaso, sono personaggi famosi, gente da copertina, ma per il fatto che sono due anime imperfette, nel corpo e nello spirito, piene di turbamenti. Non c’è alcuna volontà di far apparire questo due come supereroi bellissimi e ricchissimi, potenti, perfetti. Non c’è perfezione, non ci sono vicende straordinarie se non avrete occhi pronte a trovare lo straordinario nell’ordinario, in un amore di luci e ombre, di vette e abissi. Un amore che salva, un amore che condanna, che ci redime e ci può pure spezzare. Il racconto è tutto qui, come se fosse poco! In fondo Angelica è una ragazza come tante, nasconde le ferite, quelle del corpo, quello dell’anima, non lascia entrare nessuno, fino a quando Tommaso la vede, la riconosce, non per quelle ferite della pelle, ma per la luce che da queste filtra. Tutto è così reale nella scrittura di Valentina che è impossibile non domandarsi se li ha conosciuti davvero quei due, se li ha incontrati e fermati, se la storia qualcuno gliela raccontata. Ho trovato queste pagine bellissime, per la forza che hanno di dire che un amore è straordinario proprio quando ci viene vicino ed entra nei giorni, li illumina e non è qualcosa che accade agli altri, ma è una possibilità per tutti. Questo non vuol dire affatto che la nostra vita è destinata alla felicità, ma di certo è destinata alla verità. Mi dispiace averne scritto, perché risulta tutta la mia morale traboccante e la morale quasi mai è un veicolo per trasmettere la bellezza che abbiamo conosciuto. Eppure, se lasciate stare per un attimo tutto quello che ho detto fin qui, potrete fidarvi di quest’ultima riga in cui voglio solo dire che questo libro è un regalo che vi farete, che farete se avrete voglia di donarlo a qualcuno. Una voce fuori dal coro, una storia buona per tutte le età, anche per l’adolescente abituato alle fanfiction (si scrive così?) in cui tutto luccica senza brillare mai. Ecco, qui Angelica e Tommaso illuminano perché sono luminosi, anche feriti, anche contorti, anche infelici. Verità, questa è molta verità svelata, senza bisogno che vi stia a dire la trama…leggete e saprete.

“Il linguaggio segreto dei fiori”

14184531_10202338316495500_7408325431287691633_n.jpg

Questo romanzo non è una novità dell’ultima estate: Garzanti lo ha pubblicato nel 2011 ed è un romanzo d’esordio, aggiungerei un esordio di successo.

Vanessa Diffenbaugh ci racconta la storia di Victoria, una ragazza chiusa, introversa. Infanzia difficile la sua, tante ferite le hanno lacerato l’anima. I fiori che cura nel suo giardino diventano simboli delle sue emozioni. Si, Victoria è una donna che ama i fiori, il suo giardino è un regno in cui le emozioni si colorano, profumano, prendono forma. Non c’è niente che accada o sia accaduto nella sua vita che un fiore abbia mancato di rappresentare.  Tra difficoltà e insicurezze, paure e discanto, Victoria cerca la strada della redenzione da un passato complicato in cui non manca una colpa per la quale sembra non poter esserci perdono. Ma il suo cammino sfiora quello di un ragazzo, Grant ed è proprio grazie a questo incontro che la vita, nonostante Victoria abbia tentato di evitarla, la viene a cercare. Proprio quando il passato sembra avere l’ultima parola su tutto, ecco che il presente ha in serbo cose nuove.

Queste pagine sono riempite di una scrittura delicata e potente. Un romanzo sulla vita, sul dolore che a volte ci attanaglia, che sembra non farci prendere fiato, che ci imprigiona, ma soprattutto sulla possibilità di cambiare, di tornare a sorridere.

Una sorta di appendice dal titolo”Il dizionario di Victoria”, conclude il libro ed è un modo per entrare ancora di più in sintonia con il mondo raccontato, con la storia appena letta. Tra queste pagine i fiori assumono un significato, diventano simboli di emozioni che vi assicuro, non potrete dimenticare.

“Il linguaggio segreto dei fiori” è un libro femminile, profondamente femminile, scritto con una sensibilità che è sempre meno visibile nei modi della scrittura di oggi. Una voce fuori dal coro, un richiamo irresistibile per chi cerca una storia in cui perdersi, tornare al cuore di certe piccole cose che sono senza dubbio gli scrigni in cui si nascondono le emozioni più vere.

 

“Molto forte, incredibilmente vicino”di Jonathan Safran Foer

black.JPG

Un libro complesso. Una trama costruita e scomposta in mille pezzi, che solo con la pazienza di una parola dopo l’altra, una pagina alla volta, si ricompone. Non c’è da aver fretta nella lettura di questo romanzo che, dal basso della mia poca conoscenza del genere, io definirei un degno rappresentate del filone dei grandi romanzi americani.

Un bambino dei nostri giorni, a cui la vita lega una guerra vecchia e la nuova guerra contemporanea. Due tempi storici distanti eppure vicini. Oscar, il bambino, perde il padre nell’attacco delle torri gemelle, e coltiva il suo rapporto con il nonno, superstite della seconda guerra mondiale. Un segreto che deve essere svelato è al centro di tutta la storia.

Ho girato intorno a questo libro, ho cominciato a leggerlo non perché mi attraesse, anzi, mi sono sentita respinta spesso da queste pagine. Forse ho saputo apprezzarne meglio le virtù proprio per il fatto che è stato difficile all’inizio entrarci dentro.

Ma lo stile di questa scrittura attrae perché è capace di costruire immagini della realtà riconoscibili, quasi da sembrarti di averle vissute davvero. Forse proprio per il fatto che in qualche modo gli eventi di cui la storia racconta li abbiamo vissuti davvero o attraverso i libri di storia o attraverso i mass media per quel che riguarda il periodo più recente.

La storia di questo ragazzino alla ricerca di qualcosa di molto importante è un modo di vedere la vita come possibile concentrazione di tutto quello che in apparenza, solitamente, è lontano. Tutto quello che prima nemmeno immaginava, gli si fa prossimo, vicino, incredibilmente vicino. Forte è il richiamo delle cose che gli accadono, così forte che la vita ne è sconvolta. Quel bambino in ricerca è Oscar, ma gli somigliamo, ve ne accorgerete.

Un libro sul dolore, sulle cose sommerse che la forza della vita fa emergere, un libro sulla perdita e la conquista. Un libro che ha in se tanta vita.

“Una storia quasi solo d’amore” di Paolo di Paolo

9788807031779_quarta.jpg

Ho finito da qualche ora di leggere “Una storia quasi solo d’amore” di Paolo Di Paolo, edito da Feltrinelli.

Così questa storia è ancora tutta in superficie, a fior di pelle. Ma questo suo essere così in superficie, non le ha impedito di penetrarmi. Sono stata sconvolta da questa scrittura, da queste pagine che raccontano la storia di Teresa e Nino.

Siamo ad ottobre, davanti a un teatro. Qui tutto comincia. Si, perché Nino e Teresa sembrano cominciare a vivere in questo preciso istante. Età distanti, i trenta di lei, i venti di lui. Ma la vita è quel miracolo capace di annullare il tempo e per questo forse, i due protagonisti si incontrano…per vivere il miracolo.

Le loro vite si incontrano e fioriscono, lo fanno in questo racconto narrato da tre voci intrecciate, quella dei protagonisti già citati e quella di Grazia, zia di Teresa e insegnante di teatro di Nino. I punti di vista sono moltiplicati e tutti sono in sintonia, pur essendo voci completamente diverse. Una scrittura quasi teatrale, una messa in scena che riconsegna la storia di questa coppia con immediatezza.

Il miracolo della vita. Io ci ho trovato questo e lasciatemi dire che per me, un libro, deve fare solo questo. Una volta che lo hai letto, ti viene voglia di rileggerlo. Ci sono passi che hai voglia di imparare a memoria, come per portarteli dietro sempre. Una storia d’amore contemporanea, del nostro tempo, libera dal fardello di certi modi di scrivere che non sanno liberarsi da volgarità e ovvietà.

Due vite ordinarie che si incontrano e scelgono di viversi. Questo libro è speranza per un cuore rotto, è specchio per un cuore innamorato, è puro diletto per chi, da solo, ha scelto di attraversare il proprio cammino.

Nino e Teresa: oggi uscendo per strada, cercherò la loro immagine e magari, con attenzione guardando la troverò. Paolo me li ha consegnati, me li ha fatti conoscere. Sarà impossibile dimenticarli.

“Appia”di Paolo Rumiz

13584265_1718827558372824_1411098047_n(1)

Mettetevi comodi, si parte, si va. A condurre il viaggio è Paolo Rumiz, la sua scrittura inconfondibile e tipica di chi ha fatto suo il verbo “andare”. Ci porta lungo una delle vie più ricche di storia che si possano percorrere e che abbiamo dimenticato di percorrere, l’Appia, la via che volge verso il sud-est, che tende all’oriente, che guarda l’orizzonte delle albe, dei giorni appena iniziati.

Un viaggio di scoperta, un viaggio di riscoperta. Si, perché la strada a volte c’è, e basta soltanto riscoprirla. L’imperativo in questo viaggio è “fidiamoci”, nel senso che nessuno più di Paolo conosce quello di cui parla perché ha compiuto il tragitto ben quattro volte e il libro è stato scritto proprio durante l’ultima volta, a detta di Paolo, la volta più difficile.

Una mappatura completa della strada dimenticata, tutta fatta e tutta da rifare. Il libro è un racconto del viaggio compiuto, quel viaggio non uno qualunque, quindi una sorta di diario di bordo. Ma è pure una sorta di guida, in cui le tappe sono scandite e raccontate al dettaglio, quasi fosse un invito a non fermarsi a quel viaggio, ma a compierne uno, lo stesso eppure diverso, il nostro insomma.

Un’odissea, permettetemi il termine, dei nostri giorni, quando i viaggi sono sempre più a bordo di mezzi che non ci permettono il contatto con i luoghi attraversati. In un mondo in cui le mete dei nostri viaggi oltre che ad essere lontane sono solo luoghi di villeggiatura, Paolo Rumiz ci invita alla conta dei chilometri , uno dopo l’altro, alla conta dei passi, uno dopo l’altro, alla chiara, chiarissima intenzione di ridimensionare la lontananza per far grande, ancora più grande il tragitto…quello che passa per i luoghi vicini e dimenticati, spesso oltraggiati.

Questo viaggio ha liberato l’Appia dalla prigione, l’ha riportata ad essere parte della nostra terra, quella che si allunga verso l’oriente, verso modi di vivere a misura d’uomo. Il viaggio che compiamo in questo libro, o che almeno io ho compiuto, m’ha lasciato in bocca la voglia di partire per trovarmi perduta, finalmente, anche se a un passo da casa, perduta in casa.

Una scrittura che rapisce, che a tratti diventa poesia, esplora il territorio sacro dell’umanità, accende il fuoco dei falò fatti sotto le stelle, quelli degli esploratori del mondo nuovo, fatto tutto di terra aria e acqua combinate nei modi più vari, elementi che l’uomo scorda e invece non può scordare se vuole salvare qualcosa, se vuole salvarsi.