Oggi a scuola…

Nello sguardo di questa bambina mi sono ritrovata. Le somiglio, l’ho sempre pensato. Oggi lo credo. Il tempo delle elementari per me è stato un tempo scuro. Non facevo i compiti, inventavo scuse, piangevo, non volevo andare a scuola, non sapevo scrivere, leggere, contare bene come tante altre bambine della mia classe. Ero timida, piccola, silenziosa. Ero prigioniera di ansie e lacrime. Ho fatto venire i capelli bianchi alla mamma, non le ho mai dato una soddisfazione, e ha pianto per me. Le altre mamme erano fiere delle loro figlie brave e volenterose, se ne vantavano. Lei non poteva farlo.
La scuola è il luogo e il tempo prezioso per i bambini e le loro famiglie. È vita, io l’ho scoperto pian piano. Ho incontrato un professore, in prima media. Ricordo il primo tema che ci assegnò, e che dopo qualche giorno ci riconsegnò. Guardai il voto, un ottimo. Cambiò tutto in me. Gli era bastato poco per capire che ero fragile, ma combattevo, volevo vincere contro l’inettitudine che mi si era cucita addosso. Il mio professore non c’è più. Oggi, se fosse stato ancora qui, lo avrei chiamato. Gli avrei detto grazie, per la fiducia che ha avuto in me, che ha cambiato non i miei voti, ma il mio cuore che scappava da un dolore per aver perso un pezzo di sé, il mio cuore che nessuno era stato capace di ascoltare. Ci sono giorni che vengono a dirci che quello che abbiamo vissuto, ogni sofferenza, ogni dolore, può essere consolato e trovare un senso. Ora sto a scuola, faccio la maestra, e da qualche giorno mi viene da cambiarlo quel verbo, mi viene da dire che sono una maestra, col rischio di peccare di presunzione. Ora ritrovo un tempo che non ho potuto godere da bambina. Faccio un bel respiro, mi chiedo se sono in grado di stare lì. Forse no, ma quella bambina, quella intimorita e incapace, torna e la accarezzo in ogni carezza che passo sulla testa dei bimbi, e la ascolto ogni volta che ascolto un bambino dirmi che non ha capito o ha dimenticato un libro a casa. E penso ai miei, al loro dolore per quella figlia incomprensibile. Forse se potessero entrare, una mattina, capirebbero che tutto, tutto doveva andare così ed è passato. Ci ho messo troppo forse, ma ogni gradino, ogni passo, è stato prezioso. Ero a un corso di formazione oggi, e ho pianto ascoltando un’esperienza in cui mi sono riconosciuta. Ed è tornata l’immagine di questa bambina speciale, come ogni bambino. E volevo condividerla questa storia. E forse non ci sono riuscita perché scrivere di qualcosa di personale è difficile. Però, ecco qua.

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Un regalo per la vita

Sono qui per raccontarvi e condividere un momento bello e importante che ho vissuto qualche giorno fa. Sono ancora a bocca aperta…

Suonano alla nostra casa rossa.
Apro.
– Ciao Chiara.
– Ciao!
– Ciao. Sono Viola. Mi ha dato il tuo indirizzo una ragazza che ti conosce. Ho letto il tuo libro.
– Vieni, entra.
– No, vado di fretta, volevo solo dirti grazie. Il tuo libro me lo ha regalato un’amica che lo aveva letto. In questo racconto mi è sembrato di ripercorrere quello che è successo un mese fa a me. E ora io soffro, ma spero che presto non soffrirò più.

Io, senza parole. Per questo gesto spontaneo. Lei ha diciassette anni, tutta la vita davanti, e sa cosa sia innamorarsi. Le ho letto negli occhi la bellezza di essere al principio di tutto, e quanto sia anche difficile la sua età. Bellezza e nodi da sciogliere ha incontrato e è venuta a dirmelo. Il regalo del giorno per me. No, mi correggo, è un regalo per tutta la vita.

 

I regali, quelli belli.

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La gardenia ha aperto proprio oggi il suo primo fiore. Il rito di ogni anno, in questa occasione, è rileggere il brano del libro “Incontro d’amore in un paese in guerra”, per ricordare che il mio fiore preferito è protagonista di uno dei racconti per me piu belli. Lo ripropongo, oggi che è il mio compleanno, tra auguri ricevuti e altri attesi e non ancpra arrivati, o che forse mai arriveranno. Sento che delle ferite di tanta dimenticanza però avra cura questo fiore, così opportuno e così speciale da farmi sorriderr come fossi ancora una bambina. I regali, quelli belli… un fiore, un libro, qualche parola vera. Sono sicura che a chi mi segue qui faro un regalo gradito riproponendo il racconto di Sepulveda. Buona lettura:

“Sono davanti alla tua porta, vestito in modo impeccabile e con un mazzo di gardenie in mano. Ho intenzione di suonare, di attendere qualche secondo per vedere apparire la tua testa nella cornice della porta d’ingresso con un’espressione di cinica sorpresa, perchè sappiamo entrambi che mi stai aspettando. Ho intenzione di entrare, buonasera, come stai, fare il primo passo, il tappeto bianco, la poltrona, un caffè, sigarette turche sul tavolo, lodi per il buon gusto nella scelta dei portacenere e delle abominevoli riproduzioni di Picasso.C’è qualcosa di marziale nel gesto di cercare con l’indice il pulsante nero del campanello, di entrare in contatto con la superficie di bachelite, di premere con una certa sensualità per poi rendersi conto che non si sente alcun suono. Il dito ripete l’operazione un po’ più velocemente, stavolta preme con maggiore forza il campanello, lo tiene schiacciato per qualche secondo, ma non si ode nulla. Deduzione immediata: paranoia dei fili elettrici. Allora indietreggio venti centimetri, mi aggiusto il nodo della cravatta, controllo la simmetria del mazzo di gardenie che iniziano già a dar mostra di instabilità all’interno del loro involucro, e piego le dita della mano destra con un movimento che comincia dalle prime falangi, finchè la mano non adotta una volenterosa posizione a chiocciola. Prendo la rincorsa, o meglio la mia mano indietreggia fino a restare paralizzata da una specie di muraglia d’aria che le impedisce un maggior spostamento, e poi si appresta a colpire la superficie della porta. Quando la mano è a pochissimi millimetri, si blocca, e allora io penso a tutte le possibilità. Può darsi che il rumore imprevisto, toc toc, ti causi un improvviso spavento. La terribile sensazione di pensare a un ospite inatteso, di intuire l’arrivo di un ricordo sepolto già da molto tempo, e la possibilità che tu lasci cadere il vaso di cristallo che sicuramente hai in mano aspettando l’arrivo delle gardenie promesse. Può anche darsi che la mia mano acquisti una forza infinita e che al secondo toc sfondi la porta con il conseguente rumore di schegge di legno sul linoleum, o semplicemente che a causa di manchevolezze dell’impresa edile la porta crolli giù fra le recriminazioni dei tuoi vicini, che a quel punto uscirebbero nel corridoio, nei loro bei pigiami, e imprecando mi ricorderebbero che questa è un’ora di decoroso riposo. In mezzo a tanti cavilli la mia mano trema, è scossa dall’incertezza, mi sembra di intuire nel polso una specie di rictus di spavento che in fondo è anche autocompassione, perchè questo mi accade ogni volta che tento di suonare alla tua porta. Così le gardenie invecchiano in pochi secondi nel loro involucro trasparente, e quando varco la soglia dell’edificio, quella bocca che mi risputa nell’umida solitudine della strada, e mi avvio con la testa sprofondata tra le spalle provando ancora una volta la vergogna della sconfitta, posso sentire chiaramente, lassù, il tuo pianto per le gardenie assenti.”

L. Sepulveda, Lassù qualcuno aspetta delle gardenie.

Libri, letture e fotografie. Sono tornata.

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Sono qui, stasera, dopo tanto tempo, tutto quello che mi è servito a capire se questo blog è il luogo che avevo davvero immaginato e voluto per la mia scrittura. Mi sono guardata indietro e pure un po’ dentro. Non tutto quel che ho scritto qui mi piace, ma è il mio posto, quello di cui ho sentito la mancanza e al quale adesso, stasera, faccio ritorno. Il mio posto in questo grande, immenso mondo fatto di storie e scritture on-line.

Torno scrivendo di un libro, uno di quelli che sono stati e sono importanti per me. Allora comincio.

Un po’ di tempo fa abbiamo cominciato a fotografare libri.
Io ho iniziato quando la condivisione sui social mi ha fatto sentire che era possibile parlare liberamente delle mie letture non solo a qualche amico o amica, ma anche a persone più lontane da me. Non so perché questa spinta, non me lo chiedo, mi piace semplicemente raccontare quello che un libro mi ha fatto vivere. Se scavo nella memoria trovo tanti libri importanti per me, di cui mi piacerebbe saper esprimere a parole l’altezza a cui mi hanno condotta, l’altezza delle storie che raccontano, l’altezza di certi personaggi, di certe scritture. Chiedi alla polvere di John Fante, è diventato uno dei libri che amo fotografare per attaccarci poi qualche pensiero mio, poco legato allo stile, più intriso di emozioni e impressioni.
Un libro che ho avuto voglia di finire lentamente. Volevo il tempo di imparare e fissare qualche passaggio, restare nell’atmosfera, trovare spazio per l’immagine di quello scrittore che ad un certo punto dice: Dovevo scrivere una storia d’amore, imparare cos’era la vita!
Ecco sì, ho avuto bisogno di masticare e ingoiarmi i singoli pensieri, i desideri di Arturo Bandini.
Mi è venuta voglia di rileggerlo, con lo stesso passo lento di sempre, come a volermici spalmare un po’, come a volerci combaciare con Arturo, con lo scrittore che cerca il modo di trovare vita per sè. E come fa lui, tra la polvere, nel deserto, tutto quello che sembra morirci dentro, sotto, in mezzo, tirarlo via, provare a salvarlo, inseguirlo quando sfugge. Bandini scrive, sogna, muore un po’ tra quella polvere, come tutti, come tutto, appare ingenuo fino all’illusione, ma diventa quasi amico. Viene voglia di chiamarlo, al telefono, condividerci la gratitudine per il suo viaggio, che diventa il viaggio di ogni lettore che a questo libro si avvicinerà.
Il lontano si fa vicino, una foto non è mai solo una foto e un libro, quando è un bel libro, è una grande avventura da raccontare.

Scatti e pezzi di storie.

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“Come ogni sabato, aveva aspettato l’ora in cui, sulla facciata della Collegiata di San Leonardo, poteva distinguersi netta la linea d’ombra.
Ninì era felice. In piazza due bambini giocavano a rincorrersi, li sentiva gridarsi addosso. E il fumo dei camini accesi nelle poche case abitate, aveva riempito l’aria. Lo respirava e sapeva che c’era chi, davanti al fuoco, si sapeva felice come lei. Pensò che non le era mai bastato poco. Al “basta poco” non aveva mai creduto. Quel momento era tutto. La linea d’ombra, i bambini, un paese a cui tornare. La sua vita.”

 

Davanti all’ultima puntata di Dawson’s Creek.

 

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Oggi, come tante altre volte, davanti all’ultima puntata di Dawson’s Creek, penso a quanto sia stato importante aver visto questa serie. Soprattutto oggi, dopo tanto tempo, tanta vita, sento che è stato importante questo ultimo episodio. Il cerchio sembra chiudersi, tutto torna, o forse semplicemente niente si chiude e il risultato della storia non è perfetto, esattamente come accade nella vita. C’è da fare i conti con la vita e scopriamo che i conti non tornano quasi mai. Il dolore, la gioia, il ritrovarsi che vuol dire essersi allontanati: tutto questo è la nostra storia personale che si intreccia con le altre storie. E arriva il momento in cui c’è da scegliere, da scegliersi e non lo si fa quasi mai seguendo le regole. Niente torna, tutto però si compie qui, come altrove e crescono loro, vanno avanti loro come spesso abbiamo fatto noi nella realtà. Ci siamo anche noi accorti che tutto quello che pensavamo perduto è invece seminato nel cuore e al momento opportuno fiorirà. Ci riabbracceremo e ci ameremo ancora con chi desideriamo oltre gli impedimenti del destino, sentiremo di appartenere dopo aver viaggiato lontani e lontano. L’amicizia e l’amore, a cui la vita deve tutto, quando la vita si stringe ci rendono liberi davvero. Sono l’amore e l’amicizia a salvarci, a liberarci. Non le regole con cui vestiamo questi due sentimenti, ma la loro essenza pura e istintiva. Siamo chi siamo, e staremo con chi abbiamo intessuto la rete di bene e amore più autentica che si possa immaginare. Non è un conto che torna, è una promessa che si compie, perché è più forte di tutto.

Novembre

 

Novembre è arrivato. Me lo ha detto stamattina il solito albero, spogliato e abbracciato da nebbia e freddo.

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Quanto tempo ho passato a scrivere sotto la sua chioma in estate! Quanto tempo è passato dall’ultima volta che mi sono seduta lì sotto! Ho riempito pagine, quaderni, a volte penso sia stato tutto inutile, se lo misuro col metro di giudizio solito, basato su soldi e carriera. Tutto inutile, poca capacità di finalizzare in un mondo in cui il fine è tutto quello che conta. L’albero solitario e spoglio, nascosto dalla nebbia, sta crescendo, nonostante sembri inutile la sua presenza, lui cresce e si ancora al suolo, allunga i rami, si allarga.
Tornando a casa ho chiamato un’amica, gli ho detto che mi piacerebbe in una delle prossime sere organizzare un incontro di scrittura, che abbia per tema “L’albero”, invitare gente, sederci insieme come sotto a un albero. “Ci sarò” ha risposto. Le parole mi hanno portata qui, al punto in cui non mi importa sapere il fine, mi importa di più il “durante”, la strada, la crescita di un seme che da qualche anno curo. Le parole. Ogni incontro. Cura e crescita anche quando fitta è la nebbia intorno.

Concorso scuola, odissea dei nostri giorni.

Ho superato il concorso scuola 2016, in realtà l’ho superato nel 2017 perché in questo paese spesso le cose vanno per le lunghe. L’ho superato, non l’ho vinto perché nella classe di concorso Infanzia per la regione Umbria i posti per il ruolo erano meno del numero di quelli che hanno superato la prova scritta e orale. Così ora vivo nel limbo degli idonei, quelli che magari un giorno saranno chiamati per una supplenza, o magari chissà anche per un futuro posto fisso. In questo paese il lavoro più che un diritto è un sogno e io continuo a sognare.
Stamattina ho incontrato una persona che il concorso l’ha vinto e nelle sue parole ho letto una sorta di compassione verso di me del tipo “poverina che sei stata a non riuscire a rientrare in graduatoria!”. Uno sputo in faccia mi avrebbe umiliata di meno. Siccome mia nonna diceva sempre “meglio invidiati che compatiti” colgo l’occasione per esprimere un pensiero in merito a questa avventura.
Ho sostenuto insieme a tanti altri lo scritto del concorso il 31 maggio 2016, a Città della Pieve, dopo che il giorno prima avevo sotenuto lo scritto per la classe sd concorso Primaria, a Spoleto. Due giorni intensi, difficili, passati ad affrontare prove di cui abbiamo ricevuto l’esito otto mesi dopo. L’orale l’ho sostenuto il 18 febbraio 2017, dopo venti giorni che mi è stato comunicato il risultato dello scritto: 34.8 che tra il minimo di 28 e il massimo di 40 non è male. Mi sono presentata all’orale, carica di aspettative, sono stata tra le prime. In 35 minuti dovevamo presentare un’unità di apprendimento su un argomento estratto 24 ore prima. Mi sono seduta davanti alla commissione, ho infilato la chiavetta nella porta USB del computer fornito dalla scuola, nel formato richiesto, ma il computer non lo leggeva. L’ansia ha cominciato a salire, ma ho comunque raccontato il mio lavoro, pur non potendolo far vedere. I pensieri hanno iniziato ad affollarmi il cervello, insieme alla rabbia e la delusione per il mio lavoro fatto di grafica e idee che sentivo sprecato. A ben oltre metà della presentazione, il tecnico mi ha offerto la possibilità di utilizzare un altro computer, mi ha dato la possibilità di usufruire di un mio diritto, che per paura o timidezza non ho reclamato da subito. Una pausa abbastanza lunga è seguita, per permettere al tecnico di fare il suo lavoro. Mi ripetevo di stare calma, non dovevo mollare, non potevo dfarmi bocciare , ero preparata!
Tutto si è concluso dopo quasi un’ora, rispetto ai 45 minuti previsti per la prova, mi sono guadagnata quel 30, combattendo i limiti che mi porto dentro o almeno provandoci, non ho preso di più per colpa mia e delle mie insicurezze, ma non posso non pensare che sia stata pure colpa di una scuola impreparata. Un 30, che non è nemmeno il minimo e le scuse del tecnico che ha capito la mia tensione da imprevisto.
Gli orali sono proseguiti fino a metà aprile, così chi è venuto dopo ha avuto più possibilità di prepararsi. Si, l’ho pensato, mi sono sentita svantaggiata, ma altrimenti non si poteva fare e questo paese, che assicura la legalità di un concorso, non può anche assicurare la giustizia, proprio non ce la fa. Comunque in 152 hanno fatto meglio di me e adesso, il limbo è casa mia. La scuola resta il sogno per cui spendermi, non il solo, ma insieme a quello della scrittura di certo il più importante. Stamattina ho incontrato chi è riuscito ad arrivare alla meta. Mi sarei aspettata più intelligenza, più vicinanza, piuttosto che la falsa compassione che ha sfoggiato. Mentre lei parlava, io pensavo a quello che sento in modo forte, rispetto a questa avventura, al rispetto che provo per chi si è seduto davanti a quel computer come me, quel lontano 31 maggio e ha provato con tutto se stesso a fare meta, chi ci è riuscito, chi non ce l’ha fatta, chi è risultato idoneo e vive nel limbo. Un concorso è solo una prova affrontata in un paese che, anche quando assicura la legalità, non riesce ad assicurare la giustizia. Giusto sarebbe stato se avessimo avuto tutti lo stesso tempo per prepararci. Così, nei miei venticinque giorni di tempo, ho studiato, ho chiesto aiuto, sono cresciuta in un mestiere che richiede preparazione, cuore, volontà. Se avessi avuto due mesi in più… ma questa è una possibilità da non prendere in considerazione, magari avrei fatto peggio chi può saperlo!
Tra poco inizia un nuovo anno scolastico tra poco, per alcuni sarà un nuovo inizio per un percorso ricco di sfide, per altri un anno ancora pieno di incertezze. Lo Stato e le sue istituzioni, continuano a non credere abbastanza nella scuola, a non dare gli stessi strumenti a tutti, a non riconoscere il diritto al lavoro e di conseguenza ad un’istruzione che possa dare ai bambini, ai ragazzi, agli adolescenti, tutte le possibilità che meritano per essere felici oggi e uomini sempre più umani domani. Forse è proprio così che doveva andare, forse si poteva fare meglio, io di certo, e magari pure l’istituzione. La nostra Odissea continua, Itaca è in qualche luogo, laggiù, godiamoci il viaggio, combattiamo, superiamo gli ostacoli, rafforziamoci. Arriveremo.

A Italo Calvino

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Devo il mio piacere per la lettura a Italo Calvino, ai suoi racconti, alle sue Lezioni Americane, agli spazzi in cui la sua scrittura è diventata per me una possibilità. Non sto facendo bene il mio lavoro, ma so che se con onestà e impegno mi metterò davanti a un foglio, avrò fatto già un primo passo importante. Lui ha scritto tutto lo scrivibile, mi sento una mollica di pane su una tavola imbandita, inutile rimanenza di una meraviglia che è già stata servita. Per questo sempre più forte in me è il desiderio di leggere, leggere senza dover pensare alla scrittura. Devo a Calvino tante notti in cui leggere è stato accendere una luce nel buio e vivere avventure straordinarie.

Lettere da spedire

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Questa foto l’ho fatta ad una pagina di una mia agenda. Risale a qualche tempo fa, almeno la prima parte. Poi c’è quell’indirizzo, che ho aggiunto solo ieri, è un modo per materializzare questo desiderio. Un desiderio antico, quello di trovare la mia cassetta della posta riempita di lettere…non indirizzate a me chiaramente, ma scritte da qualcuno per qualcun altro…lettere che non abbiamo il coraggio di spedire, a volte nemmeno di scrivere, perché ci vergogneremmo delle nostre parole che vanno a scavarci, che raccontano i nostri sentimenti. Io vorrei che quelle lettere avessero una possibilità, se non le vorrete spedire a chi dovreste, allora mandatele all’indirizzo che ho scritto nel foglio, in Strada Dritta 22  06024 Gubbio. Le vostre lettere arriveranno, vivranno, anonime o intestate. Saranno parole scritte e quindi vive, saranno le vostre storie che mi piacerebbe leggere, per le quali mi commuoverò…io non sono una psicologa, non sarà terapeutico, ma saprete che c’è un posto in cui quelle parole vivono…e magari ne farò un’ anonima posta del cuore, dove le storie vostre diventeranno storie che parlano a tanti. Anzi, non so precisamente cosa ne farò, io voglio solo conservare quel che andrebbe perduto, invitarvi a dire le cose che non dite…lasciarmi commuovere da lettere d’amore o di qualsiasi altro sentimento ci sia stampato. Le parole scritte non si perdono, così come le storie, e io ho sempre voluto non perdere nulla, di me e della vita intorno.

Così scrivete a Chiara Pellegrini, Strada di San Rocco 22, 06024 Gubbio PG. Una cassetta della posta, non una mail, ma una cassetta in cui arriveranno parole di inchiostro su carta, preziose per un desiderio forse sciocco, di tanto tempo fa, ma che ha resistito e resterà.