Un regalo per la vita

Sono qui per raccontarvi e condividere un momento bello e importante che ho vissuto qualche giorno fa. Sono ancora a bocca aperta…

Suonano alla nostra casa rossa.
Apro.
– Ciao Chiara.
– Ciao!
– Ciao. Sono Viola. Mi ha dato il tuo indirizzo una ragazza che ti conosce. Ho letto il tuo libro.
– Vieni, entra.
– No, vado di fretta, volevo solo dirti grazie. Il tuo libro me lo ha regalato un’amica che lo aveva letto. In questo racconto mi è sembrato di ripercorrere quello che è successo un mese fa a me. E ora io soffro, ma spero che presto non soffrirò più.

Io, senza parole. Per questo gesto spontaneo. Lei ha diciassette anni, tutta la vita davanti, e sa cosa sia innamorarsi. Le ho letto negli occhi la bellezza di essere al principio di tutto, e quanto sia anche difficile la sua età. Bellezza e nodi da sciogliere ha incontrato e è venuta a dirmelo. Il regalo del giorno per me. No, mi correggo, è un regalo per tutta la vita.

 

Oh, Vita!

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Questa foto racconta di un sogno, molto lontano da me. Però i sogni son così leggeri che si spostano in fretta, come fanno le nuvole, veloci da un cielo all’altro, si avvicinano e si mescolano. Anche se sono di altri, possono contagiarci, accenderci. La musica di @lorenzojova ha fatto da colonna sonora a molta parte della mia vita e soprattutto ha soffiato sul fuoco di questo mio sogno strampalato che a piccoli passi tento di far diventare realtà. Sarà che da due giorni ho spedito il mio secondo manoscritto, e averlo scritto è stato vivere molta vita e molti desideri, sarà che un’ora fa ho sentito quel ritornello arrivarmi diretto e semplice “ma come posso io non celebrarti vita, oh vita! Oh, vita!”, saranno un milione di altri motivi, ma sento che sono in questo fiume che è la vita, mi godo la voglia di nuotare un po’ controcorrente e un po’ lasciarmi cullare. Celebrare la vita forse è questo, celebrarla per mostrarle gratitudine, accettando il rischio del viaggio, dell’incontro, della contaminazione, del cambiamento.

“Uno schiocco di dita” in finale!!!

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La strada continua, e tra meno di un mese sapremo chi vincerà il concorso ilmioesordio2017. Sono felice, comunque andrà io so che questa storia mi ha regalato tante emozioni e soprattutto la voglia di continuare a scrivere e a credere che tutto è davvero possibile. Vi lascio qui un pezzo del primo capitolo. Potrete andare su http://www.ilmiolibro.it per sostenere la storia, lasciare un commento sulla pagina dedicata. Grazie a tutte le persone che mi hanno accompagnata e mi sono vicine in questa avventura!

“Il foglio di carta leggerissima, quasi trasparente, scivolò dal libro e volò come fosse una piuma, fino a toccare il pavimento. C’era una scritta, un po’ sbiadita, ma ancora leggibile. La grafia era inconfondibile, un corsivo piccolo, stretto, che riconobbi subito. Lo raccolsi, e tenendolo tra le dita mi accorsi che stavo tremando. Quello era il libro che Luca mi aveva lasciato al nostro ultimo incontro e che non avevo ancora aperto. Erano passati poco più di due mesi dalla sua partenza e stavo finendo di svuotare alcuni scatoloni appoggiati in soffitta. Tiravo fuori cose messe dentro alla rinfusa durante il trasloco. Nella fretta di venir via dall’appartamento dei miei e trasferirmi nella vecchia casa dei nonni mi sembrò più semplice ammucchiare senza un ordine preciso e mi ritrovai con una soffitta da svuotare e una casa intera da riordinare. Avevo trovato di tutto, foto, vecchie musicassette ormai diventate inascoltabili, perché superate dalle nuove tecnologie, diari di scuola, libri. Li sistemavo sulle mensole e tra i tanti spuntò il libro di Luca. Rivedere la copertina me lo fece ricordare. Lo avevo rimosso in una sorta di amnesia da autodifesa per non ripensare all’ultima volta che l’avevo visto. “Seta” era il titolo stampato in copertina. Ingiallito, con le pagine rigide, ispessite dal tempo. Chissà dove l’aveva preso! Magari in una delle bancarelle dell’usato al mercatino dell’antiquariato. Non avevo intenzione di leggerlo, ma lo aprii per sfogliarlo velocemente e spuntò il foglietto, leggerissimo, quasi trasparente, scritto in corsivo, una grafia piccola di lettere allungate, la sua:

“Ci siamo amati, lo so, anche se non ce lo siamo detti. Ci ameremo ancora, mai completamente. Non esiste un amore completo, non esiste per me e per te. Parto senza avere il coraggio di affrontarti. Ho bisogno di una vita nuova, senza di te. Se vorrai cercarmi potrai farlo, chiedi il numero e l’indirizzo ai miei. Perdonami.”

Quelle parole si scagliarono su di me come frecce. Rimisi il foglietto nel libro, in fretta, per farlo sparire, per non cedere alla tentazione di leggerlo ancora. Le sue parole altro non erano che bugie cucite su misura per salvarsi la faccia e io non volevo più sentirle, non volevo più pensarci. Ma cacciarle via fu praticamente inutile, ero più fragile di quanto volessi ammettere. Così, sedendomi davanti alla piccola finestra della soffitta, ripensai al nostro ultimo incontro. Ricordo ancora quel momento nei minimi dettagli, si ricorda alla perfezione un’ultima volta.

Un vento improvviso si alzò e nuvole grigie si affacciarono all’orizzonte, annunciando un temporale, uno di quelli che si preparano in poco tempo, minacciosi e frequenti in estate, da queste parti. Si avvertiva già il profumo di terra bagnata, forse uno degli odori più buoni che si possano sentire, anche se la pioggia era ancora lontana.

L’orologio sulla parete mi ricordava che avrei fatto tardi anche quella sera. Da qualche mese, al lavoro, finire abbondantemente oltre l’orario di chiusura era diventata una consuetudine. Erano già le cinque e niente in quella giornata era andato per il verso giusto. Il cellulare prese a squillare, lo cercai nell’ammasso di fogli accatastati sulla scrivania, lasciai perdere per un attimo i biglietti di auguri ancora da scrivere e i mazzi di fiori da consegnare.

– Pronto.

– Marta, sono io. Posso passare da te? È questione di un minuto.

– Ho mille cose da fare, adesso non ho proprio tempo. Possiamo fare stasera?

– Ti prego. Ci vorrà pochissimo, promesso!

Ogni volta che Luca chiamava io correvo. Non riuscivo mai a dirgli di no e a maggior ragione in quell’occasione, dopo averlo sentito trafelato, ansioso. Il tono della sua voce era strano, avevo riconosciuto nella sua richiesta una supplica che mi allarmò. M’aveva detto poche parole, ma lo conoscevo abbastanza da sentire quando qualcosa non andava, così nonostante la fretta in cui la giornata era precipitata, scelsi di fare una pausa.

– Vengo io, ci vediamo al solito posto tra un quarto d’ora.

Davanti al portone della chiesa non c’era. Fremevo per la curiosità di sapere il motivo di tanta urgenza. Arrivò in bici, sembrava agitato, pensai che avesse fretta come me. Indossava una maglietta rossa e un paio di jeans scoloriti, sulle spalle il solito zaino giallo e blu. Non scese, restò fermo con un piede sul pedale e l’altro appoggiato a terra. Quando capii il motivo dell’appuntamento, rimasi spiazzata.

– Non leggerlo subito, puoi tenerlo, non preoccuparti.

Cercò nel suo zaino e tirò fuori un libro. Lo presi in mano, non volevo discutere e non protestai davanti a quella che mi sembrò la cosa meno importante e più stupida del mondo. Ero corsa da lui solo perché voleva consegnarmi un libro. Ero corsa lì solo per soddisfare un suo capriccio. Con un tono scocciato mi preparai a tornare al lavoro:

– Svelto dai, tra poco pioverà. Ci vediamo stasera, andiamo con gli altri a prenderci un gelato ok?

Non aspettai che mi rispondesse. Feci per andarmene, mi voltai giusto un attimo per ringraziarlo del libro. Queste sono state le mie ultime parole per lui. Non aggiunsi altro e me ne andai. Era una cosa seria, ma non potevo saperlo. Se avessi aperto il libro avrei capito. Era davanti a me la verità, tutta scritta nei suoi occhi schivi. Non mi aveva guardata in faccia nemmeno per un momento. Nel suo sguardo c’era già tutto.”

“Uno schiocco di dita”, su http://www.ilmiolibro.it.

 

A Michele

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Il ciclismo non manca di scorrettezze, di scandali, è uno sport fatto dagli uomini e gli uomini non smentiscono la loro natura. Ma il ciclismo è soprattutto pedalare, fare fatica, condividerla e arrivare oltre un traguardo, farlo non solo in gara. 
Tante immagini sono rimaste nella storia, belle perché immortalano gesti e gesta indimenticabili. Questa mi riporta il senso di un’anima divisa in due, anima vincente e gregaria, che stabilisce la giusta natura delle cose in una gara e una tappa onorate dal passaggio di due grandi. Michele resterà, per me che lo conoscevo solo per la sua passione diventata ben presto il suo lavoro, soprattutto in questa foto, in quelle di quel podio.
Come tutti i grandi sapeva prendersi poco sul serio e nelle piccole questioni quotidiane ha saputo diventare straordinario per tanti appassionati di ciclismo. Era vicino, potevi beccarlo in giro per le colline marchigiane, umbre, le colline di casa. Come Pantani, col suo Carpegna. Come il Sic e i suoi motori a Coriano. Vicini, quasi condividessero lo stesso sangue pazzo, gli stessi modi in cui la vita cresce nutrita della bellezza del mare e della terra. Pianura, salita. Velocità, concentrazione. Appartenenza, lontananza contata in chilometri. Fatica, libertà. Visione di orizzonti che si allontanano ogni volta che pensi di raggiungerli, condivisione di allegria pura per esserci riusciti solo e meglio insieme.
Mancherà Michele, il suo sorriso capace di rompere la durezza dei suoi spigoli, un sorriso grasso che si apriva sincero sul suo viso magro.
Il ciclismo è ancora più grande, i suoi sacrifici hanno compiuto l’impresa di allargarci il cuore e farci amare ancora di più questo sport, senza dubbi, senza rimpianti.

Tutti scrivono. Ma chi legge?

“Tutto lo scrivibile è già stato scritto”, lo ripeto a me stessa come fosse un mantra. Inizio così anche qualche incontro del mio laboratorio di scrittura, giusto per ricordare a chi sceglie la via della scrittura che potrebbe essere perfettamente inutile mettersi davanti alla pagina bianca e cominciare a raccontare. Questo per me vuol dire che c’è tanto da leggere, c’è tutto da leggere, vuol dire che scrivere è aggiungere ancora qualcosa al già scritto, ma che leggere è quasi un dovere per capire dove possiamo osare ancora qualcosa, riscrivendo una storia magari già scritta ma in modo nuovo. Tutti scrivono e l’editoria è in sovrappeso…pile di manoscritti appoggiate sulle scrivanie di editor al lavoro per trovare qualcosa di buono. Ma qualcosa di buono spesso resta nascosto, ed emerge sempre più spesso una scrittura che fa fare affari, più che promuovere un pensiero e uno stile nuovi.

Forse il mio disincanto è dovuto alla mia esperienza personale che si è imbattuta in continue porte sbattute in faccia non tanto perché scrivo male, perché invio lavori sgrammaticati, quanto perché non scrivo cose di interesse, al passo con i tempi. In fondo è vero, ma sento che qualsiasi cosa accada, scrivo storie per il bisogno di concentrare la mia visione del mondo in cose piccole, dove poter ritrovare qualcosa di molto umano.

Vorrei poter entrare in Wattpad (sapete tutti cos’è Wattpad no?), un giorno, e trovare ai primi posti in classifica una storia scritta bene, con uno stile riconoscibile, libera il più possibile di refusi, in cui fili un discorso senza interrompersi. Wattpad come un laboratorio in cui sperimentare la scrittura, in cui le storie non si ripetano, in cui le visualizzazioni non si comprino a suon di spam, in cui un editore abbia il coraggio di entrare per trovarci una buona storia e non una storia per fare soldi.

Leggo tanto, scrivo poco. Invidio tutta quella parte di Facebook in cui si ritrova gente che ha storie pronte all’uso, che scrive come se non ci fosse un domani senza accorgersi di ripetersi, continuamente. Tanti “autori”, pochi lettori.

Ho trentacinque anni, è una vita che scrivo, mi sono auto pubblicata per partecipare ad un concorso, non sono una scrittrice e fatico a trovare una storia su cui spendermi ancora. Mi sento un’aliena e così per cercare di tornare a sentirmi umana, leggo, leggo tutto quel che hanno scritto i grandi e pure i mediocri, così so che è completamente inutile aggiungere scrittura alla scrittura e imparo l’umiltà che serve per tentare di fare un lavoro apparentemente inutile, ma che voglio davvero fare.

 

Il giorno che non scorderò.

https://www.youtube.com/watch?v=WgAsQmZ8Vdw

Il giorno che non scorderò ha la sua colonna sonora, ed è quella del film “Il postino”.

Si, il giorno che non scorderò è quello in cui il ragazzo che mi piaceva non mi invitò al cinema, o a mangiare un gelato, o a fare una passeggiata e non mi dedicò una poesia, e non mi regalò il suo libro preferito, e non mi chiamò a vedere il cielo d’estate, le stelle cadenti.

Il giorno che non scorderò è quello in cui ho visto questo film da sola, e mi sono innamorata ancor di più di quel ragazzo che non mi aveva invitata mai in nessun posto.

Un amore che non ho mai potuto vivere ha avuto la sua bellissima colonna sonora, e quando riascolto questa musica, non torna quell’innamoramento di un tempo, ma l’idea del cuore vivo, che non segue la ragione, ma accetta di struggersi per qualcuno.

L’estate è praticamente alle porte e nonostante il tempo grigio, i giorni di pioggia, le temperature ancora troppo fredde anche solo per poterla immaginare, io sento il profumo di quell’amore mancato, in quell’estate di tanti anni fa. Auguro a tutti i ragazzi e le ragazze, di godersi il tempo libero che è appena cominciato, di saperlo riempire di vita, quella per cui, anche dopo anni, saprete riconoscere tenerezza e meraviglia. Un amore mancato, un amore avverato, un amore taciuto, un amore dichiarato, che possa regalarvi un giorno da non scordare, una musica da non scordare, un cuore innamorato che, comunque vada, sarà il ricordo più prezioso che potrete portare sempre con voi.

Niccolò Fabi, il concerto che aspettavo.

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Ho aspettato questo concerto col cuore carico di emozione. Quando è arrivato, il 18 maggio scorso, l’ho vissuto come un’occasione.  C’è l’occasione che viene a cercarti, quella che cerchi, che si propone e raccogli, accogli. L’incontro con la musica di Niccolò Fabi è un’occasione che è insieme tutte queste occasioni. Il concerto è stato un momento di vita di quelli che non scordi, si attaccano su qualche parte del corpo, si imprimono in qualche angolo dell’anima. Ha parlato a me, eravamo in tanti ma a me è sembrato che parlasse solo a me. L’ho ascoltato. L’ho sentito. C’è una canzone che più di tutte mi è arrivata al cuore, m’ha raccolta dall’angolo in cui mi sono infilata. “Facciamo finta” mi ha parlato della morte, ma non lo ha fatto con tristezza. M’ha parlato di illusioni, di piccole illusioni quotidiane, raccontate ai bambini, ai bambini che abbiamo intorno, ai bambini che siamo noi stessi. Illudere un bambino è facile, poi la vita smonterà tutto, o forse certe illusioni resteranno, resisteranno. Il finale è potente, per chi conosce la storia di quest’uomo al microfono, è stato impossibile non sentirsi coinvolti, commossi. Eppure è un finale che appartiene a tutti e questo è doloroso, così doloroso da essere tremendamente vero, anche per chi non è stato sfiorato da una morte tremenda. Nessuno ha saputo massaggiare la ferita che una morte ha lasciato su di me come questa canzone, come la sua voce, come quel momento del concerto in cui lui ha mostrato qualcosa di molto personale e per questo forse tanto comune. La vita più vera è comune, è nostra e di tutti. La vita più vera è quella dei momenti che non sappiamo raccontare per tanto tempo, poi invece li sappiamo dire, condividere. Diventano motivo di incontro.

“Facciamo finta che io posso schioccare le dita e in un istante scomparire, quando quello che ho davanti non mi piace non è giusto o semplicemente mi fa star male, facciamo finta che io torno a casa la sera e tu ci sei ancora sul nostro divano blu, facciamo finta che poi ci abbracciamo e non ci lasciamo mai più…”
Quello schiocco di dita è solo l’immagine di un’illusione, bellissima, anche se si smonterà perché la vita è così, smonta tutto, lo ricompone come vuole. Ringrazio Niccolò per la sua musica che si integra col miglior cantautorato italiano del nostro tempo, pur rimanendo sola, a brillare, un po come faceva quel De André che sapeva fare di una piccola canzone, un messaggio condiviso che mostrava qualcosa della vita che sapevi, ma di cui non avevi consapevolezza. Questo è il mio racconto di una serata straordinaria, condivisa con un’amica, il racconto di una notte che non dimenticherò.

Ho sorriso per aver riconosciuto Marta…

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Tante lettrici si sono confrontate con Marta, la protagonista del libro, io mi ci sono scontrata ogni giorno per tanti mesi, fino all’ultima pagina. Non posso dire perché, dovrete leggere per capire, ma posso dirvi che mi è piaciuto raccontare di questa ragazza, di questa donna un po fuori dal tempo che resta fedele ad un amore, quasi fino a diventare ridicola perché “ragazze così non esistono quasi più”. Stamattina però ho ascoltato su Radio Deejay la telefonata di una ragazza che ha detto di avere trent’anni, di essere ancora vergine, e che ha finalmente incontrato il ragazzo con cui desidera fare l’amore per la prima volta. Ero in macchina, ho sorriso per aver riconosciuto Marta (anche se la ragazza in radio si chiama Cristina). Forse racconto di cose fuori dal tempo o semplicemente, niente è fuori dal tempo anzi, quello che nessuno più racconta è semplicemente più nascosto, ma esiste ancora. Ad ogni Marta, che serba nel suo cuore i doni più preziosi, regalandoli quando sceglie di volerlo fare, quando farlo è importante, è bello. Questo libro, la sua natura, è il mio primo passo, e stamattina mi è sembrato un passo leggero, bellissimo.

Solstizio d’estate

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Il giorno con più ore di luce di tutto l’anno, di conseguenza quella che viene sarà la notte più breve. Sappiate averne cura che di notte succedono cose bellissime! Questa notte così breve lascerà presto che le luci del mattino ci sveglino. Allora bisogna fare in fretta se vogliamo cogliere il mistero che ogni notte porta con se. Sappiate averne cura, regalatevi notti brevi e speciali, notti che non dimenticherete. Buona estate a tutti!!!!!!!

Parole come ciliegie

Ciliegie

Cinque giorni, questi ultimi, in cui non ho mai alzato gli occhi dal foglio. E’ tremenda l’arsura di parole che dura mesi, perché poi ti viene voglia di farne indigestione, come se le parole fossero ciliegie. Son salita allora sul ciliegio, ho cominciato, ho ripulito i rami, dal mio passaggio durato appena cinque giorni non è rimasto che il verde delle foglie. Ho tirato via tutto, ho ingurgitato tutte le parole necessarie per lo scheletro di questa storia nuova, che azzarda un po’ su un argomento difficile, che non conosco neppure troppo bene e quindi è una scommessa. Tutte queste parole che hanno riempito fogli di un’idea di storia nuova, parole come ciliegie, una tira l’altra, fino a sfrondare un albero intero. Cinque giorni di follia, senza respiro, in cui mi sono lasciata attraversare dalla voglia di fare bene, di fare meglio, di scarnificare, di arrivare al centro di quel che voglio raccontare. Ora viene il bello, ora che lo scheletro è sistemato viene la fase dei tentativi, del creare e del distruggere, dello scrivere e del buttare tutto ché non c’è niente che va bene. Tre romanzi senza editore pesano come un macigno sulle mie spalle, e allo stesso tempo sono pure le ali che mi aiutano a volare, sono la mia corazza, una protezione. Nessuno mai potrà dire di me che sto tentando una strada ma senza crederci davvero. Io ci credo, davvero, volesse anche dire topparla ancora. Così scendo dal ciliegio, soddisfatta del gusto dolce in bocca, pronta a uscire fuori dal giardino, oltre lo steccato, e provare a vedere cosa c’è in serbo stavolta per me.