Lasciare che, chi ha bisogno, chieda.

Chi usa i flussi migratori per spaventare la gente è un truffatore. Convincere la gente che questo paese è in difficoltà per colpa dei poveri è da truffatori, bugiardi. Non serve scriverlo, e questo è un concetto espresso in una maniera troppo semplicistica. È così. Lo so. Ma io mi bagno nell’Adriatico, dove i barconi negli anni novanta navigavano dall’Albania fino alle coste italiane e sembrava un’invasione. Era gente in fuga, che però non rubava il posto a qualcuno. Questo è semplice, questo è quello che è accaduto. È quel continua ad accadere. Io non mi sento italiana e il mondo l’ho girato poco, forse troppo poco per sentire di poter appartenere a qualche altro paese. Su un barcone non ho dovuto salirci, non ho dovuto navigare, anche se il lavoro scarseggia, se sono precaria, se a volte è dura, durissima restare. Ma non cedo al potere che grida e mette poveri contro poveri, lavoratori contro lavoratori, che usa gli ultimi per fare la sua propaganda. Non sono orfana di civiltà.

Penso al vangelo di qualche giorno fa, mi sembra possa aiutarmi a spiegare meglio quel che voglio dire. Penso alle due donne bisognose di un miracolo di vita. Gesù parte per salvarne una, la prima, figlia di Giairo, un uomo giusto. Ha dodici anni lei. Ma sulla strada ne incontra un’altra. Ha fretta Gesù, ma si ferma perché riconosce un tocco: un’emorroissa, reietta e sola, che nessuno poteva toccare, incontrare, tocca il suo mantello. Una donna che nessuno può toccare, che non conosce tocchi di mani d’altri per colpa della sua malattia, sa toccare in un modo così speciale che Gesù riesce a riconoscerla tra tanti. Un prete mi diceva sempre che nel vangelo i dettagli sono importanti, e quel tocco è davvero un dettaglio importante! È un segno, racconta di quanto amore può dare chi ne ha bisogno. Essere in cerca d’amore è già amare, profondamente desiderare.

Si ferma Gesù, a guarire l’emorroissa, così fa tardi e la bambina intanto muore. Tutti intorno giudicano, forse pensano che se non si fosse fermato sarebbe arrivato prima e la bambina sarebbe ancora viva. È guerra tra i poveri questa, perché entrambe hanno bisogno, a prescindere da origini e casta sociale, ma agli occhi degli uomini la bambina è più innocente, più degna di un miracolo. Se si impedisse a chi ha bisogno di chiedere, se scegliessimo chi ha diritto di essere aiutato, se decidessimo chi ha davvero bisogno, eccola la tentazione più grande e pericolosa… Gesù risponde, a modo suo, un modo unico: salva la donna, la guarisce, e richiama alla vita la bambina. Insegna che il dolore è unico, non sceglie, ha abbastanza amore per tutti. È solo un racconto vecchio di secoli e Dio sembra lontano, per parecchi non esiste nemmeno. Ma se fossimo capaci di vedere, di capire, di avere compassione! Se avessimo occhi aperti, cuori generosi, tutti troverebbero posto, tutti vivrebbero. Ora, il miracolo non spetta a noi, a noi tocca essere quella folla a volte, a volte quella bambina, altre volte l’emorroissa. Dovremo a volte lasciare che chi ha bisogno possa chiedere, essere una folla più comprensiva. Perché avremo bisogno, un giorno, forse, di un miracolo per noi o per qualcuno che amiamo e sarebbe bello riceverlo, lasciare che accada, preparare una terra in cui i miracoli possano accadere. Ai migranti, che vengono per mare, da terra a terra, lasciare spazio, speranza, concedere vita.

Novembre

 

Novembre è arrivato. Me lo ha detto stamattina il solito albero, spogliato e abbracciato da nebbia e freddo.

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Quanto tempo ho passato a scrivere sotto la sua chioma in estate! Quanto tempo è passato dall’ultima volta che mi sono seduta lì sotto! Ho riempito pagine, quaderni, a volte penso sia stato tutto inutile, se lo misuro col metro di giudizio solito, basato su soldi e carriera. Tutto inutile, poca capacità di finalizzare in un mondo in cui il fine è tutto quello che conta. L’albero solitario e spoglio, nascosto dalla nebbia, sta crescendo, nonostante sembri inutile la sua presenza, lui cresce e si ancora al suolo, allunga i rami, si allarga.
Tornando a casa ho chiamato un’amica, gli ho detto che mi piacerebbe in una delle prossime sere organizzare un incontro di scrittura, che abbia per tema “L’albero”, invitare gente, sederci insieme come sotto a un albero. “Ci sarò” ha risposto. Le parole mi hanno portata qui, al punto in cui non mi importa sapere il fine, mi importa di più il “durante”, la strada, la crescita di un seme che da qualche anno curo. Le parole. Ogni incontro. Cura e crescita anche quando fitta è la nebbia intorno.

“Uno schiocco di dita” in finale!!!

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La strada continua, e tra meno di un mese sapremo chi vincerà il concorso ilmioesordio2017. Sono felice, comunque andrà io so che questa storia mi ha regalato tante emozioni e soprattutto la voglia di continuare a scrivere e a credere che tutto è davvero possibile. Vi lascio qui un pezzo del primo capitolo. Potrete andare su http://www.ilmiolibro.it per sostenere la storia, lasciare un commento sulla pagina dedicata. Grazie a tutte le persone che mi hanno accompagnata e mi sono vicine in questa avventura!

“Il foglio di carta leggerissima, quasi trasparente, scivolò dal libro e volò come fosse una piuma, fino a toccare il pavimento. C’era una scritta, un po’ sbiadita, ma ancora leggibile. La grafia era inconfondibile, un corsivo piccolo, stretto, che riconobbi subito. Lo raccolsi, e tenendolo tra le dita mi accorsi che stavo tremando. Quello era il libro che Luca mi aveva lasciato al nostro ultimo incontro e che non avevo ancora aperto. Erano passati poco più di due mesi dalla sua partenza e stavo finendo di svuotare alcuni scatoloni appoggiati in soffitta. Tiravo fuori cose messe dentro alla rinfusa durante il trasloco. Nella fretta di venir via dall’appartamento dei miei e trasferirmi nella vecchia casa dei nonni mi sembrò più semplice ammucchiare senza un ordine preciso e mi ritrovai con una soffitta da svuotare e una casa intera da riordinare. Avevo trovato di tutto, foto, vecchie musicassette ormai diventate inascoltabili, perché superate dalle nuove tecnologie, diari di scuola, libri. Li sistemavo sulle mensole e tra i tanti spuntò il libro di Luca. Rivedere la copertina me lo fece ricordare. Lo avevo rimosso in una sorta di amnesia da autodifesa per non ripensare all’ultima volta che l’avevo visto. “Seta” era il titolo stampato in copertina. Ingiallito, con le pagine rigide, ispessite dal tempo. Chissà dove l’aveva preso! Magari in una delle bancarelle dell’usato al mercatino dell’antiquariato. Non avevo intenzione di leggerlo, ma lo aprii per sfogliarlo velocemente e spuntò il foglietto, leggerissimo, quasi trasparente, scritto in corsivo, una grafia piccola di lettere allungate, la sua:

“Ci siamo amati, lo so, anche se non ce lo siamo detti. Ci ameremo ancora, mai completamente. Non esiste un amore completo, non esiste per me e per te. Parto senza avere il coraggio di affrontarti. Ho bisogno di una vita nuova, senza di te. Se vorrai cercarmi potrai farlo, chiedi il numero e l’indirizzo ai miei. Perdonami.”

Quelle parole si scagliarono su di me come frecce. Rimisi il foglietto nel libro, in fretta, per farlo sparire, per non cedere alla tentazione di leggerlo ancora. Le sue parole altro non erano che bugie cucite su misura per salvarsi la faccia e io non volevo più sentirle, non volevo più pensarci. Ma cacciarle via fu praticamente inutile, ero più fragile di quanto volessi ammettere. Così, sedendomi davanti alla piccola finestra della soffitta, ripensai al nostro ultimo incontro. Ricordo ancora quel momento nei minimi dettagli, si ricorda alla perfezione un’ultima volta.

Un vento improvviso si alzò e nuvole grigie si affacciarono all’orizzonte, annunciando un temporale, uno di quelli che si preparano in poco tempo, minacciosi e frequenti in estate, da queste parti. Si avvertiva già il profumo di terra bagnata, forse uno degli odori più buoni che si possano sentire, anche se la pioggia era ancora lontana.

L’orologio sulla parete mi ricordava che avrei fatto tardi anche quella sera. Da qualche mese, al lavoro, finire abbondantemente oltre l’orario di chiusura era diventata una consuetudine. Erano già le cinque e niente in quella giornata era andato per il verso giusto. Il cellulare prese a squillare, lo cercai nell’ammasso di fogli accatastati sulla scrivania, lasciai perdere per un attimo i biglietti di auguri ancora da scrivere e i mazzi di fiori da consegnare.

– Pronto.

– Marta, sono io. Posso passare da te? È questione di un minuto.

– Ho mille cose da fare, adesso non ho proprio tempo. Possiamo fare stasera?

– Ti prego. Ci vorrà pochissimo, promesso!

Ogni volta che Luca chiamava io correvo. Non riuscivo mai a dirgli di no e a maggior ragione in quell’occasione, dopo averlo sentito trafelato, ansioso. Il tono della sua voce era strano, avevo riconosciuto nella sua richiesta una supplica che mi allarmò. M’aveva detto poche parole, ma lo conoscevo abbastanza da sentire quando qualcosa non andava, così nonostante la fretta in cui la giornata era precipitata, scelsi di fare una pausa.

– Vengo io, ci vediamo al solito posto tra un quarto d’ora.

Davanti al portone della chiesa non c’era. Fremevo per la curiosità di sapere il motivo di tanta urgenza. Arrivò in bici, sembrava agitato, pensai che avesse fretta come me. Indossava una maglietta rossa e un paio di jeans scoloriti, sulle spalle il solito zaino giallo e blu. Non scese, restò fermo con un piede sul pedale e l’altro appoggiato a terra. Quando capii il motivo dell’appuntamento, rimasi spiazzata.

– Non leggerlo subito, puoi tenerlo, non preoccuparti.

Cercò nel suo zaino e tirò fuori un libro. Lo presi in mano, non volevo discutere e non protestai davanti a quella che mi sembrò la cosa meno importante e più stupida del mondo. Ero corsa da lui solo perché voleva consegnarmi un libro. Ero corsa lì solo per soddisfare un suo capriccio. Con un tono scocciato mi preparai a tornare al lavoro:

– Svelto dai, tra poco pioverà. Ci vediamo stasera, andiamo con gli altri a prenderci un gelato ok?

Non aspettai che mi rispondesse. Feci per andarmene, mi voltai giusto un attimo per ringraziarlo del libro. Queste sono state le mie ultime parole per lui. Non aggiunsi altro e me ne andai. Era una cosa seria, ma non potevo saperlo. Se avessi aperto il libro avrei capito. Era davanti a me la verità, tutta scritta nei suoi occhi schivi. Non mi aveva guardata in faccia nemmeno per un momento. Nel suo sguardo c’era già tutto.”

“Uno schiocco di dita”, su http://www.ilmiolibro.it.

 

Quello che conta davvero.

Sono molto felice, perché già da oggi in tanti hanno colto l’occasione dell’ebook gratuito per scaricarlo. Il costo originario è di 0,99 centesimi, costano poco gli ebook, soprattutto quelli piccoli e scritti da sconosciuti. Costano meno di un chilo di pane, di un caffè, meno di un pacchetto di caramelle, meno di un quotidiano, di un gelato, meno di uno svago qualsiasi.

Costa talmente poco un ebook che diventa inevitabile riflettere sul perché si attenda una promozione per scaricarlo, e so che in tanti ce lo chiediamo. Ma io spero che chi scrive non lo faccia per un guadagno, tra l’altro irrisorio.

Io so che i miei racconti non valgono i soldi che costano, so che varranno le letture che riusciranno a conquistare, i lettori che si convinceranno a cercarci qualcosa. Così ho messo quel prezzo, 0,99, giusto per riconoscermi il valore di un impegno che rimane tale anche in questi due giorni che potete godervelo gratis.

Ho venduto quattro copie in due mesi, facendo pagare il mio lavoro meno di un caffè, oggi sono già arrivati 39 download. Pochi centesimi o nessun centesimo poco importa. Io spero che queste storie arrivino a un cuore, o a 33, o a quelli che saranno e non voglio che facciano successo, non scrivo per averne, non scrivo abbastanza bene da poterlo meritare.

Le storie che scrivo hanno bisogno di qualcuno che le legga per valere qualcosa, non di un prezzo in copertina, non di un guadagno. Ma ancora prima, le storie che scrivo, hanno trovato valore proprio quando la penna ha iniziato a mettere nero su bianco quel che volevo raccontare.

Oggi sono felice, per aver ancora una volta scoperto che il vero guadagno, nelle cose che facciamo, non è mai questione di soldi.

Vi chiedo di scaricarlo se vi attrae, se vi incuriosisce, di farlo in questi due giorni in cui costa niente e lasciarmi un pensiero vostro, l’unico valore che mi renderà un poco più ricca e felice.

Il valore della scrittura

Piccola premessa: il mio è solo il parere di un’aspirante scrittrice che legge molto e riesce a scrivere poco. Considerate che nel 2017 non ho scritto neanche una mezza riga!

Proprio questa assenza dalla pagina scritta mi ha fatto riflettere moltissimo sul senso dello scrivere e sul valore che la scrittura ha per me.

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Mi è capitato di collaborare nel 2016 con una pagina Facebook che si occupa di recensioni di libri. Molti dei libri che ho recensito sono auto-pubblicati. E mentre mi occupavo di questo provavo a sponsorizzare e pubblicizzare il mio libro, anch’esso auto-pubblicato perché partecipante ad un concorso letterario che prevedeva proprio l’auto pubblicazione per poter partecipare. E’ finita la mia collaborazione per il blog perché ho dimostrato una notevole incostanza nelle mie consegne, forse per la fatica che faccio nel dover leggere un libro che non mi appassiona. È pure finito il concorso dove la mia storia è arrivata alla finale senza però vincere, e quindi ho ritirato l’opera. Non ho mai creduto davvero nel self, e questa esperienza ha rafforzato la mia sfiducia verso il mezzo.

Si, la verità in fondo è che tutta questa scrittura self mi ha annebbiato il cervello, mi sono abituata alla mediocrità, così tanto abituata che la mia scrittura è scesa di livello. Ho peggiorato il mio stile, ho diminuito le attese rispetto alle mie possibilità, ho tentato nel frattempo di recensire le storie con professionalità, ma non avendo competenze adeguate sono finita in panchina e forse ho fatto pure perdere qualità a quel blog in cui ci sono amministratrici che hanno proprio voglia di fare bene e condividere la passione per la lettura e la scrittura ma spesso si sono trovate come me in difficoltà perché davanti a un loro parere ci sono state aspiranti scrittrici che se la sono presa per un parere magari negativo.

Ma la scrittura è qualcosa di troppo prezioso per me, di troppo importante e non voglio sminuirla, non voglio appiattirla. Io voglio correre il rischio di diventare antipatica e ignorare tutta quella carovana di gente disposta a tutto per promuovere una storiella. Acquisterebbero valore quelle storie se fossero messe in rete online, magari esposte al giudizio dei lettori, ma gratuitamente. La connessione è un mezzo per far girare le storie, per farle arrivare a un pubblico, così magari da essere stroncate e poi migliorate. Esercizi di scrittura per poter vedere se si è in grado di scrivere storie degne di essere pubblicate.

Il valore non è guadagno, il valore della scrittura è nella stessa scrittura, che è passione, bisogno, non un lavoro (almeno fino a che un editore ci proporrà un contratto), non una speculazione, non un campo di battaglia su cui scontrarsi. La scrittura è un giardino in cui incontrarsi e confrontarsi. Il valore della scrittura è far crescere il potenziale, far salire l’asticella della qualità delle storie che scriviamo, che sono sacre e per queste andrebbero trattate con un rispetto che manca troppo.

Non scrivo più, sono arida di parole, è un bel problema per me questo. Ma so che non tornerò a scrivere solo per dire che ho venduto mille copie di un libro in self. Io ho grandi sogni, perdonatemi.

Il gioco del mondo

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Ho scoperto tardi questo libro, ma lo amerò per sempre.

A questo libro riconduco l’amore per la scrittura e per la lettura.

A questo libro devo l’idea del laboratorio di scrittura.

Un libro che, per come è scritto e per come puoi leggerlo, non somiglia a nessun altro.

La genialità è tutta in queste pagine, che puoi leggere un capitolo dopo l’altro, oppure seguendo le indicazioni che l’autore stesso suggerisce (una consecutio di capitoli scelti, scritta all’inizio del libro).

Horacio Oliveira è il protagonista. Lo conosci, così ti sembra, ma non finisci mai di conoscerlo, perché il libro tende all’infinito come l’anima di Horacio.

Due spazi, Parigi e Buenos Aires e due tempi, quelli che riguardano le vicende del protagonista.

Accade tutto, tutto è raccontato. Come? Divinamente, nel senso che lo scrittore scrive e crea, gioca e in quel gioco chiama il lettore esattamente come farebbe un dio nei primi giorni del mondo.

Rayuela è il termine che identifica il gioco della campana, quello in cui si lancia un sasso su una casella nella quale è scritto un numero e si salta con una sola gamba per raccoglierlo…una sola parola identifica il gioco che lo scrittore intende far fare al lettore.

Credo sia un libro speciale, non immediato, non facile certo ma nemmeno complicato.

Davanti ad un libro arriviamo spesso pieni di aspettative, a me piacerebbe raccontarvi quelle che avevo davanti a “Il gioco del mondo” ma le ho dimenticate tutte. LA lettura ha spazzato via quello che credevo e volevo, lasciando il posto a tutto quello che non sapevo immaginare…ci sono spicchi di vita in cui non è sempre facile riconoscersi, ma nei quali è semplice ritrovarsi, pezzi di pura poesia:

“Tocco la tua bocca, con un dito tocco il bordo della tua bocca, comincio a disegnarla come se uscisse dalla mia mano, come se per la prima volta la tua bocca si aprisse, e mi basta chiudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare, faccio nascere ogni volta la bocca che desidero, la bocca che la mia mano ha scelto e ti disegna sulla faccia, una bocca scelta tra tutte, con la sovrana libertà che scelgo per disegnarla con la mia mano sulla tua faccia, e che, per un azzardo che non cerco di comprendere, coincide esattamente con la tua bocca che sorride sotto quella che la mia mano ti sta disegnando.

Mi guardi, da vicino mi guardi, sempre più da vicino e allora giochiamo a fare il ciclope, ci guardiamo tanto da vicino che i nostri occhi si allargano, si attaccano tra di loro, si sovrappongono e i ciclopi si guardano, respirano confusi, le bocche s’incontrano e lottano nel tepore, si mordono con le labbra, appoggiano appena la lingua tra i denti, giocano nei loro recinti là dove un’aria pesante va e viene col suo profumo antico e il suo silenzio. Allora le mie mani cercano di immergersi nei tuoi capelli, di accarezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre noi ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori o di pesci, di movimenti vivi, di fragranze oscure. E se ci addentiamo, il dolore è dolce, e se affoghiamo in un breve e terribile assorbirsi dell’alito, quell’istantanea morte è bella. E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, e io ti sento tremare su di me come una luna nell’acqua.”

Ecco di cosa parlo, di cose così, cose di vita.

Dopo averlo letto ho sognato di poter invitare tanti alla lettura di questa meraviglia, di fare di questa lettura un momento privato prima e poi condiviso. Fare della scrittura e della lettura un gioco, il gioco della creazione di un mondo proprio, o del mondo di una qualche anima, nel quale incontrarsi e riconoscersi.

Amo questo libro per un milione di motivi, molto personali, e pure per un milione di motivi per nulla privati, quelli che considero necessari per sentirsi parte del mondo, dell’umanità. Questo libro mi appartiene, ci appartiene, io gli appartengo, noi gli apparteniamo.

Il giorno che non scorderò.

https://www.youtube.com/watch?v=WgAsQmZ8Vdw

Il giorno che non scorderò ha la sua colonna sonora, ed è quella del film “Il postino”.

Si, il giorno che non scorderò è quello in cui il ragazzo che mi piaceva non mi invitò al cinema, o a mangiare un gelato, o a fare una passeggiata e non mi dedicò una poesia, e non mi regalò il suo libro preferito, e non mi chiamò a vedere il cielo d’estate, le stelle cadenti.

Il giorno che non scorderò è quello in cui ho visto questo film da sola, e mi sono innamorata ancor di più di quel ragazzo che non mi aveva invitata mai in nessun posto.

Un amore che non ho mai potuto vivere ha avuto la sua bellissima colonna sonora, e quando riascolto questa musica, non torna quell’innamoramento di un tempo, ma l’idea del cuore vivo, che non segue la ragione, ma accetta di struggersi per qualcuno.

L’estate è praticamente alle porte e nonostante il tempo grigio, i giorni di pioggia, le temperature ancora troppo fredde anche solo per poterla immaginare, io sento il profumo di quell’amore mancato, in quell’estate di tanti anni fa. Auguro a tutti i ragazzi e le ragazze, di godersi il tempo libero che è appena cominciato, di saperlo riempire di vita, quella per cui, anche dopo anni, saprete riconoscere tenerezza e meraviglia. Un amore mancato, un amore avverato, un amore taciuto, un amore dichiarato, che possa regalarvi un giorno da non scordare, una musica da non scordare, un cuore innamorato che, comunque vada, sarà il ricordo più prezioso che potrete portare sempre con voi.

Perché la primavera fiorisca…

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I libri sono le nostre esistenze che si allungano verso mondi che mai abiteremo, se non in quegli attimi in cui ci troviamo tra le pagine, e viaggiamo. Il mio libro, autopubblicato e autopromosso e tutto quello che vorrete pensare di lui (basta che abbia come prefisso “auto” e ci azzeccate) no appartiene al genere di libri indimenticabili, quelli che cambiano la vita, non ne ha mai avuto la pretesa…e non vi porterà lontano, in quei mondi di cui scrivevo prima, ma vedrete che accenderà qualcosa in voi, farà in modo che la primavera fiorisca…perché dentro ci troverete una stagione bella, le margherite…beh, mancoano le rondini che a pensarci adesso potevo pure mettercele…e la versione ebook è gratuita, esattamente come la primavera, che nessuno di noi merita eppure torna, ogni anno, bellissima. http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/189200/uno-schiocco-di-dita/ questo è il link dove potrete scaricare gratuitamente “Uno schiocco di dita”…

Auguri Babbo!

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Non potevo rinunciare a scrivere oggi, proprio io che ho chiamato il blog “Nella pancia della balena”!

Se uno sente la parola babbo, il primo pensiero gli va dritto al suo babbo. Anche per me è così, penso al mio babbo, alla persona che è, che m’ha cresciuta e continua a farlo, anche se ho quasi trentacinque anni. Ma non è di questo che vi parlo. Voglio raccontarvi del secondo pensiero che  mi salta in mente quando sento o leggo o scrivo la parola Babbo: penso a Pinocchio e a Geppetto…al loro incontro nella pancia del grande pesce, la pancia della balena, un ventre che li accoglie entrambi, in mezzo al mare. Io c’ho immaginato su un sacco di cose, pian piano le racconterò tutte, ma oggi mi preme raccontarvi di come ho immaginato la scena successiva, quella che Comencini pensò esattamente come la vedete in foto. Dall’incontro nella pancia, l’uscita verso il mare aperto. Sono Pinocchio e il suo babbo, sulla schiena di un tonno, come fossero stati partoriti insieme…è la rinascita, è l’occasione nuova, Pinocchio ha ritrovato qualcosa di se, la sua radice, il suo babbo…dopo la paura di essersi perduti, ecco la meraviglia di una nuova occasione della vita. Pinocchio non è salvo grazie alla balena, Geppetto non è salvo grazie al tonno, loro sono salvi perché stanno insieme, perché ritrovano l’amore, scoprono il perdono, si riagganciano, sono pronti per quel che verrà. Pinocchio resterà il bambino che disobbedisce e fa disperare, Geppetto resterà il babbo imperfetto che ama senza riserve, senza condizioni. Io un babbo così ce l’ho, m’ha generata, ma soprattutto m’ha cresciuta, m’ha amata e continua a farlo. Non c’è un grazie grande abbastanza che posso dire, ma per quanto piccolo va detto…grazie al mio babbo, grazie ad ogni babbo che ha scelto di esserlo, che non lo fa per dovere e che anche quando ama solo per dovere lo fa con una marcia in più. Questa immagine mi è cara più di un santino, la porto con me, nel portafogli, mi ricorda che sono Pinocchio e forse, pur essendo donna, quindi destinata alla maternità, potrei pure essere un poco Geppetto…al mio babbo e ad ogni babbo, ai babbi che ci portano in salvo, che ci indicano quella sponda laggiù, oltre le onde, oltre l’acqua, quest’acqua di mare in tempesta che spesso fa paura, ma può diventare opportunità.

“Non prendo questa sera per scontata.”

Leonardo DiCaprio

“Grazie, grazie davvero a tutti. Grazie all’Academy, grazie a tutti voi. Devo congratularmi con gli altri candidati di quest’anno per le loro incredibili interpretazioni. “The Revenant” è un prodotto degli instancabili sforzi di un cast e di una troupe straordinaria con cui ho avuto modo di lavorare. Prima di tutto grazie a mio fratello, il signor Tom Hardy. Tom, il tuo talento sullo schermo può essere superato solo dalla tua amicizia fuori dallo schermo. Al signor Alejandro Iñárritu: che incredibile talento sei. Grazie a voi e a Chivo per aver creato un’esperienza cinematografica trascendente per tutti noi. Grazie alla Fox e alla New Regency, in particolare a Arnon Milchan. A tutta la mia squadra. Devo ringraziare tutti fin dall’inizio della mia carriera. Il signor Michael Caton-Jones per il mio primo film. Mr. Scorsese per avermi insegnato tanto sulla forma d’arte cinematografica. Mr. Rick Yorn, grazie per avermi aiutato a percorrere la mia strada attraverso questo settore. E i miei genitori, niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza di voi. E i miei amici, vi voglio bene. E, infine, voglio solo dire questo: “The Revenant” racconta il rapporto dell’uomo con il mondo naturale, un mondo che nel 2015 è passato attraverso l’anno più caldo della storia. La nostra produzione si è dovuta spostare alla punta meridionale di questo pianeta solo per trovare la neve. Il cambiamento climatico è reale. Sta accadendo in questo momento. E’ la minaccia più urgente per tutta la nostra specie, e abbiamo bisogno di lavorare collettivamente insieme e smettere di rimandare. Dobbiamo sostenere i leader di tutto il mondo che non parlano per i grandi inquinatori o per le grandi aziende, ma che parlano per tutta l’umanità, per le popolazioni indigene di tutto il mondo, per i miliardi e miliardi di persone svantaggiate, per i figli dei nostri figli, e per quelle persone là fuori la cui voce è stata soffocata da una politica di avidità. Vi ringrazio tutti per questo fantastico premio stasera. Cerchiamo di non dare questo pianeta per scontato. Non prendo questa sera per scontata. Grazie mille”

Ci sono notti speciali, in cui i sogni diventano realtà. Seguire la notte degli Oscar per me è stato vedere un sogno realizzarsi. Ero una ragazzina la prima volta che ho visto in un film DiCaprio. Mi addormentai quasi al cinema davanti a “Titanic”. Non l’ho amato ne “Il grande Gatsby”, ma lo ho amato in “The Aviator”, “Revolutionary Road”, “The Wolf of Wall Street”. Ci sono pure film che non so ancora se mi sono piaciuti o meno, rimasti nel limbo, come “Inception” e ancora devo vedere “Revenant”, quindi c’è tutto un mondo che mi aspetta ancora.

Stanotte però io l’ho guardato salire sul palco e prendersi ciò che gli spettava, e l’ho ascoltato dire che non era affatto scontato quel momento. Se fosse solo finta modestia o vera riconoscenza, questo non lo saprò mai, ma io sono rimasta un poco lì, davanti a lui, a godermi un grande spettacolo che non voglio dimenticare.